ISTRUZIONI PER L'USO

IL TALLONE D'ACHILLE è pensato per scrivere libri, direttamente su questo blog. Qui comincia l'Eredità di Michele, l'ultimo scritto. Il precedente è stato interrotto, si vede che doveva maturare. Qui trovate IL primo LIBRO, col suo indice ed i post che lo compongono.
I "libri" raccolgono commenti, critiche e suggerimenti di chiunque voglia partecipare con spirito costruttivo. Continuano un percorso iniziato con le Note scritte su Facebook , i cui contenuti sono ora maturati ed elaborati in una visione d'insieme, arricchiti da molti anni di esperienze diverse e confronti con persone diverse.

I Post seguono quindi un percorso logico che è bene conoscere, se si vuole ripercorrere il "discorso" complessivo. Naturalmente è possibile leggere singoli argomenti ai quali si è interessati. Argomenti spot - che spesso possono nascere dall'esigenza di commentare una notizia - saranno trattati in pagine dedicate.

Buona partecipazione!


martedì 26 febbraio 2013

Cap. I - Par. 1e - Il Patrimonio degli Italiani. I Mercati Finanziari. Il Conflitto d'Interessi. E il pericolosissimo parametro di Maastricht: Debito/PIL.


Prosegue dal paragrafo precedente

Armatevi di pazienza: questo post è lungo e denso. Viene dopo uno stacco dal precedente, anche temporale, che corrisponde ad una maturazione. Avverto il bisogno di approfondire ma anche di chiudere, a questo stadio, i ragionamenti preliminari sulla capacità dei mercati finanziari di valutare in maniera oggettiva e distaccata l'operato degli Stati. Se non sono oggettivi e distaccati, l'esserci messi  nelle loro mani si trasforma in un errore imperdonabile. Rischiamo di capirlo bene nei prossimi giorni, osservando il potere che hanno i mercati di imporci, tramite la risalita dello "Sread", soluzioni indigeste. Quelle che i politici prenderanno in nome di un ipocrita senso della "responsabilità".
La conoscenza arriva per strati che si sovrappongono. Quando nel secondo capitolo entreremo nel merito di come sono fatti, da chi, come funzionano, questi mercati, potremo tornare a rivalutare le cose espresse in questo primo paragrafo in maniera diversa.


Voglio arrivare a condividere con i lettori una considerazione importante sul rapporto debito / PIL. vedere quanto profondamente questo numero, apparentemente innocuo, ci può rovinare profondamente l'esistenza, se accettiamo di seguirlo. 

Il discorso parte da lontano, dal Patrimonio, dalla nostra ricchezza privata, dagli anni '80 e '90. Arriviamoci per gradi. Sentiamo parlare spesso della possibilità di utilizzare il Patrimonio Pubblico per diminuire il Debito Pubblico. La cosa è collegata alla concentrazione di ricchezza, quindi la dobbiamo analizzare bene. Intanto, guardiamola, come è fatta questa concentrazione.


FIG. 14a



E' qui rappresentata nella forma classica a "coppa di champagne". Quello che viene bevuto solo dai ricchi. La popolazione è divisa in cinque fasce percentuali e la larghezza della parte colorata rappresenta la quota di ricchezza complessiva (champagne) posseduta (bevuta) dagli appartenenti ad ogni fascia. Il più fortunato 20% della popolazione mondiale, detiene l'82% di tutta la ricchezza. Un ulteriore 20% si accontenta dei fondi, ma beve. Il restante 60% più povero, sorregge il pesante calice. 
Riflessione a margine sui numeri: questo 40/60 spiega in maniera molto "visibile" il motivo per cui non scoppiano rivoluzioni un giorno si e l'altro pure. Diviso il mondo fra chi beve e chi regge, c'è una sostanziale parità che ci aiuta meglio a capire come sia possibile che l'1% dei ricchi del mondo ci tenga tutti sotto schiaffo, a noi altri 99%: distribuisce casse di Champagne (di seconda categoria, naturalmente) ad una cerchia via via più bassa e larga di persone, in una catena di coinvolgimento che è tutta da capire. Una volta presi negli ingranaggi, non è facile uscirne. Mi ci sono trovato dentro, prima di incappare nella fortuna che mi ha consentito di osservarla dal di fuori. Ho voglia di condividerla questa esperienza personale che approfondiremo senz'altro di più nel prossimo capitolo, dedicato al funzionamento dei mercati finanziari. E' lì che si distribuisce la ricchezza ed il potere, al giorno d'oggi; molto più che altrove.
Applicando il modello della "coppa di champagne" anche all'interno di ognuna delle fasce, si ottiene una distribuzione molto simile. Il 20% del 20% ci porta al 4% della popolazione mondiale che possiederà la parte del leone di tutta la ricchezza della prima fascia. Con il passaggio successivo si arriva allo 0,8%. Possiamo intuire, allora, come quel 1/99 un senso ce l'ha. Possiamo infine immaginare quanto raffinato Champagne si concentri nel calici degli eletti. E questo spiega l'evidente ubriacatura delle élite che si sono messe in testa di riportarci al medio evo, a furia di cessioni di sovranità. Guardiamo le classifiche delle riviste specializzate sugli uomini più ricchi del mondo e proviamo ad immaginare come possa essere usato quel denaro. 
Il problema è che quando ce lo fanno vedere, ce lo presentano in termini di successo: meta da raggiungere; modello da copiare. Non lo vediamo per quello che è: una aberrazione contraria al nostro bisogno di pace e di equilibrio. Con la manipolazione delle informazioni - che sono controllate da un numero di persone molto al di sotto del 1% della popolazione mondiale - ormai lo abbiamo capito che ci fanno vedere solo quello che vogliono.
Non deve finire mai di stupirci, la nostra disponibilità di reggitori del calice a farci affascinare dalla pubblicità; perfino dei beni di lusso. Questo bisogno compulsivo di comprare cose per apparire. Cose che non ci servono a un cavolo, non ce le possiamo permettere ma ne rimaniamo talmente attratti che, nel sogno di poterli possedere, accettiamo umiliazioni inconcepibili. E cadiamo nella trappola del "coinvolgimento", sperando di essere attratti verso qualcosa di buono. Non è una liberazione: è una schiavitù.
I manipolatori del consenso lo sanno perfettamente. Per questo continuano a far dondolare la carota davanti la nostra testa.


FIG. 14b



La possiamo anche studiare in casa nostra, la concentrazione della ricchezza, grazie al citato studio di Banca d'Italia. Per vedere come analisi più complesse ed ufficiali  giungano a conclusioni non dissimili.

Ora possiamo iniziare a valutare l'idea di risolvere il problema del debito con la vendita del Patrimonio Pubblico. Il rischio grosso è che qualche furbo se lo vuol prendere, facendoci pensare che a noi è poco utile e che ci servono subito i soldi. Lui ce li da.  Quindi, apriamo gli occhi e portiamo pazienza. Le offerte dei ricchi non sono mai disinteressate.
Perché ci lasciamo tentare? Ci hanno raccontato che tutti i nostri problemi dipendono dal fatto che il debito è troppo grande in relazione al PIL.  Sappiamo che gli Italiani non hanno mai avuto un grande attaccamento alla res publica: ci sembra, in fin dei conti, di rinunciare a qualcosa di poco conto. Ci resta la sensazione che sia possibile ottenere un grande beneficio con un sacrificio relativamente piccolo.  

Chissà perché, noi Italiani, abbiamo la tendenza a considerare i beni pubblici come qualcosa di cui poter approfittare, da sfruttare. Abbiamo nei confronti del bene comune un atteggiamento di mancanza di rispetto che è molto diverso da quello che prestiamo, amorevolmente, ai nostri beni individuali. Posso dire con gran convinzione una cosa. Questo limite ha molto a che fare con lo stridente contrasto fra il grande livello di risparmio privato delle famiglie italiane - più volte menzionato e sicuramente fra i più elevati al mondo - ed il primato, ben più sgradevole e negativo, sul debito pubblico. Dovremmo iniziare a passarci una mano sulla coscienza, noi Italiani, e valutare più attentamente le conseguenze di questa disaffezione verso i beni comuni. 

Sicuramente lo scarso senso civico discende dalla scelta dei nostri politici di aver abolito o marginalizzato l'insegnamento di alcune materie fondamentali nella scuola dell'obbligo. Siamo un popolo tenuto nell'ignoranza. Educazione Civica, Economia Domestica, erano insegnate perfino alle elementari. Oggi Diritto, Storia, Economia, sono materie relegate in quarta fila. Eppure sono strumenti indispensabili a vivere "consapevolmente" in una società organizzata evitando di essere ingannatiIl fatto che la scelta sia calata dall'alto, comunque, non toglie a noi cittadini la responsabilità di averla accettata. Ci lamentiamo molto e reagiamo troppo poco, continuando a tirare il carro.

Torniamo al Patrimonio ed alla sua dismissione.

In questo articolo di Claudio Cacciamani viene ricordato il primo esempio di privatizzazione della storia patria. Ne riportiamo un brano, perché istruttivo:
"la prima, grande operazione di dismissione fu operata da Quintino Sella, allora ministro delle finanze, che ideò quella che, oggi, potremmo chiamare una ‘società veicolo’: la Società Anonima per la vendita dei beni del Regno d’Italia, con maggioranza del capitale nelle mani di una società privata, la Società Generale di Credito Mobiliare. Lo scopo era quello di cedere le proprietà immobiliari dello Stato non indispensabili all’attività istituzionale, per ridurre il debito pubblico lievitato enormemente a causa delle spese di guerra. L’operazione si rivelò ben congegnata, tanto da consentire l’afflusso nelle casse dello Stato di ben 900 milioni di lire, corrispondente al 15% della spesa pubblica."
E' una buona storia, ad una prima lettura. "Ascoltiamo" però attentamente le parole, perché ci risuoneranno dentro ogni volta che ci accostiamo al tema:
- "Società veicolo", "Società Anonima", "società privata". Nelle operazioni di privatizzazione ci troveremo sempre una struttura bancaria/finanziaria di proprietà privata a gestire il trasferimento. Il conflitto d'interessi, fra mercati finanziari privati chiamati a gestire la privatizzazione ed il bene pubblico, è macroscopico. Ma non lo "vediamo" mai. Oggettivamente, questa presenza non viene mai pubblicizzata dai nostri "informatori" ufficiali. Sarà per questo che ci sfugge? Il Conflitto di interessi è una cosa semplice. Pericolosissima. Eccone l'ABC.
Il conflitto di interessi si produce in quella situazione in cui un soggetto (A, o B) è chiamato a decidere una questione fra A e B che comporta l'attribuzione di maggiori o minori vantaggi ad A oppure a B. Per decidere oggettivamente fra A e B ci vuole una C, che non sia parente, conoscente, amico, dipendente, controllante, collegato economicamente in qualsiasi modo né di A, né di B. Possibilmente non corruttibile. Non è che ci vuole tanto a capirlo. Eppure, non avviene mai. La tendenza, oggettiva, è nel mettere le cose nelle mani di una A privata, quando si tratta di vendere i beni pubblici di B ai privati. Capita che A possa essere direttamente l'acquirente. Più spesso (non so se vi risulta), l'acquirente è una C che risulta parente, conoscente, amica, dipendente, controllante o collegata economicamente in vari e fantasiosi modi ad A. Senza dare nell'occhio, naturalmente. Così si fanno gli affari. Attenzione, se ci viene la tentazione di provare, perché pensiamo di aver capito come si fa, a fare gli affari, dobbiamo mettere in conto che con un certo pelo sullo stomaco bisogna nascerci: altrimenti ci ritroviamo facilmente a tirare il carretto... come i ciuchini della favola di Pinocchio. I bambini insegnano. 






- "proprietà.. non indispensabili all'attività istituzionale". Non viene mai spiegato  per quale motivo i pezzi del patrimonio che si sceglie di privatizzare non sono più indispensabili all'attività istituzionale. Qualcuno lo afferma, senza mai motivare  come quando e perché un determinato bene, faticosamente accumulato nel corso della storia patria nel Patrimonio Pubblico, improvvisamente non è più "indispensabile all'attività istituzionale". La realtà, molto semplice, è che in momenti di confusione e di bisogno diventa facile, per i soggetti che lo desiderano, entrare in possesso a prezzi assai convenienti di certi beni del Nostro Patrimonio Pubblico. Soprattutto se nel periodo immediatamente precedente quel particolare bene era stato inutilizzato o male utilizzato. Magari oggetto di scandaloso malgoverno (già, gli scandali ad orologeria..). Poniamoci una domanda: il degrado in cui è tenuto il Patrimonio Pubblico italiano è frutto della incapacità cronica e congenita della Pubblica Amministrazione? Oppure è un figlio bastardo, quel degrado, del rapporto incestuoso fra interessi malavitosi e solo alcuni fra i personaggi pubblici, fra i potenti preposti alle scelte di investire o non investire nel settore; di valorizzare o non valorizzarlo; di tagliare o incrementare i fondi necessari almeno al suo mantenimento? 

- "lo scopo...di ridurre il debito pubblico lievitato enormemente a causa delle spese di guerra". C'è sempre un motivo straordinario. Un bisogno grave ed urgente a cui fare fronte. Di quelli che rendono superfluo, anzi, direi proprio "fastidioso" ogni ragionamento sui perché e, soprattutto, sui per come.

"operazione .. ben congegnata, tanto da consentire l’afflusso nelle casse dello Stato di ben 900 milioni di lire". Ben congegnata.. ben 900 milioni... Una operazione è buona se ha prodotto il massimo risultato possibile, non un risultato qualunque
Per quello che ne sappiamo, quella vendita poteva rendere ben 1800, non solo 900, se fosse stata gestita in maniera "trasparente e pubblica" piuttosto che "anonima e privata"; fuori dall'urgenza e dalla straordinarietà; se fosse stata sottoposta al controllo incrociato sia degli organi pubblici preposti, sia dei cittadini, magari raccolti nelle loro associazioni, interessati a capire, e a valutare. Dotati, entrambi, di strumenti efficaci di controllo e di intervento

Ci verranno mai forniti elementi sufficienti per valutarlo? No, se non pretendiamo le cose indicate in premessa, al punto 1 e 3.

Avete mai provato a vendere qualcosa per fare cassa quando avete urgente bisogno di liquidità? Io sì, forse per questo mi è chiaro il senso, ed il dolore. Quando l'acquirente conosce il vostro stato di bisogno ed è anche il vostro "consulente professionale"? Ci dice nulla la discesa del prezzo delle case e di qualunque cosa usata venga messa sul mercato in questo periodo di recessione, in cui tutti sanno che c'è gente con l'acqua alla gola che ha bisogno di vendere qualcosa per sopravvivere? Non ci dobbiamo vergognare. E' una condizione generale. Gli studi di Banca d'Italia dicono che la ricchezza privata degli Italiani, ancora la più alta al mondo, si va riducendo. Vendiamo per sopravvivere, per disperazione, non per dissennatezza. Lo Stato ha altre possibilità, invece: se sceglie di vendere il Patrimonio Pubblico, sbaglia. Vi vengono in mente gli affari che si fanno nelle aste giudiziarie? Quale è la relazione fra la recessione e le privatizzazioni? La domanda è importante perché, avendo a che fare con le "riforme strutturali" consigliate dai mercati finanziari, si ripropone periodicamente e "strutturalmente". 
Gli elementi ricorrenti nelle privatizzazioni vengono infatti recepiti nelle disposizioni normative, a partire dall'elemento grave di generazione del conflitto di interessi. Per farsene un'idea, si può leggere questo articolo di Marco Antoniol su PATRIMONIO PUBBLICO, la Rivista del Demanio e Patrimonio. 

Torniamo alla storia delle privatizzazioni. Focalizzando i collegamenti stretti che risultano fra processo di  integrazione europea e trasferimento del Patrimonio Pubblico ai privati. Una parte significativa della vendita di immobili ed aziende di Stato è servita al nostro paese per convergere verso i parametri di Maastricht. Il 1992 rappresenta una tappa importante; l'azione è proseguita in tappe successive (Prodi, Tremonti); oggi ci viene sostanzialmente richiesto di terminare l'operazione: vendere quel poco che resta.
Rileggiamolo, quel 1992, perché avvengono cose importanti, e collegate fra loro. E' l'anno in cui si pongono le basi per rendere sostanzialmente e materialmente privato tutto il circuito finanziario. Faceva parte del nostro Patrimonio Pubblico. Non lo è più. 

Ne troviamo tracce interessanti in questo articolo di Solange Manfredi. Riportiamo alcune preziose informazioni: 

- "Il 29 gennaio 1992 viene emanata la legge numero 35/1992 (Legge Carli - Amato) per la privatizzazione di istituti di credito ed enti pubblici."

Ragioniamoci su. La cosa non ci esplode da un giorno all'altro sotto gli occhi: Non è che il 30 gennaio del 1992 i nostri Istituti di Credito di Diritto Pubblico cessano di essere pubblici e diventano improvvisamente privati. Tanto meno si parla della possibilità che la stessa Banca d'Italia possa essere posseduta da privati. Non ancora. Intanto ricordiamo che erano tanti e forti, questi Istituti. Svolgevano importantissime funzioni di interesse generale. Fra queste, l'obbligo di mantenere in portafoglio una quota rilevante di titoli del debito pubblico del paese. La trasformazione avviene in maniera impercettibile, per gradi. Tutto inizia con la loro trasformazione in S.p.a. che  vuol dire Società per azioni. In altre lingue, più trasparenti, vengono chiamate società anonime, ad indicare chiaramente la non responsabilità e la non visibilità delle persone coinvolte. A proposito di non visibilità: gli enti pubblici di erogazione dei servizi pubblici, trasformati in aziende (S.p.a.) in nome della indimostrata ma scontata superiore efficienza dei privati, diventano invisibili alla Corte dei Conti, sottratti al suo controllo sugli atti. A noi Italiani questo concetto di irresponsabilità sfugge facilmente. La legge Carli-Amato non ci da assolutamente il tempo e il modo di valutarne le conseguenze, nel momento in cui esce; risponde però ad un disegno, di lunghissimo respiro, che si sta compiendo in questi giorni, con l'operazione MPS

Facciamo un inciso, a questo punto, necessario per sgombrare il campo da equivoci, pregiudizi, fantasmi: che questo disegno sia opera di persone, o del diavolo, fa veramente poca differenza. Tanto, non ci è dato saperlo. Tanto, strade diverse conducono a risultati assai simili. A seconda del personale modo di vedere e di sentire di ognuno di noi, possiamo immaginare percorsi di conoscenza assai diversi ma tutti egualmente legittimi, se percorsi in buona fede. Convergono gli approdi.
Qualcuno lo ritiene concepito ed orchestrato da persone incappucciate, chiuse in oscure stanze. 
Altri (fra cui il sottoscritto) possono considerare il risultato a volte casuale e altre volte causale delle singole scelte fatte in momenti, luoghi e tempi diversi da persone diverse; a volte in buona fede, a volte no. In pratica, dagli uomini e dalle (pochissime) donne che si incontrano nei Consigli di Amministrazione delle Grandi Investment Bank Internazionali. Poi (sempre le stesse persone) negli Organismi Sopra Nazionali dove si decidono le cose che contano per l'economia ma soprattutto per la finanza mondiale. Luoghi dove si dovrebbero controllare proprio quelle Istituzioni Finanziarie, che invece le controllano. Nelle sedi delle Banche Centrali (rese autonome). Nei Governi, fra i Capi di Stato e nei Ministeri Economici che hanno sempre meno il potere di governare l'economia, sempre più il potere di "cedere" sovranità a quelle Istituzioni. A questo punto, sforzarsi di capire se è nato prima l'uovo o prima la gallina: chi controlla chi... è veramente un aspetto marginale. E' una rete con intrecci che a volte emergono a volte no. C'è chi preferisce studiarne la formazione (piramide, piramide tronca, cupola) chi l'origine storica, chi sceglie di concentrarsi sugli strumenti ed i meccanismi operativi. Di certo, quand'anche esistesse una cupola, a livello mondiale, ci sono diversità oggettive di natura culturale, storica, geografica che rendono assai frammentato il quadro. Quello che conta, è che vorremmo liberarcene.
Per i credenti, poi, che vogliono vederci la presenza del maligno, resta pure questa possibilità. Ad ognuno secondo i suoi gusti.

Il dato di congiungimento dei diversi percorsi di conoscenza, resta unico: un numero sempre più ristretto di persone, nel mondo d'oggi, anche ammesso che non condivida un piano, condivide oggettivamente i propri interessi. Che sono interessi personali, privati, economici. Condivide un grado di ricchezza che è esagerata e pericolosamente concentrata. Condivide il potere che ne consegue, che è enorme e rappresenta una evidente minaccia alla democrazia, come l'abbiamo intesa. Ha bisogno, per la propria sopravvivenza, di comprimere i confini dello Stato democratico di diritto.

Basta volerle vedere, le cose che sono dinanzi i nostri occhi

Per capire, però, quanto ci sia veramente difficile, a noi umani, riuscire a vedere le cose brutte che abbiamo sotto il naso, diamo uno sguardo a questo video. cerchiamo  le immagini nascoste negli affreschi di Giotto della Basilica di San Francesco in Assisi, mostrate da un servizio del TG1. 





Riflettiamo sul fatto che per oltre 800 anni quelle immagini erano li, e nessuno - nessuno fra i diversi milioni di visitatori che hanno ammirato gli affreschi della Basilica nei secoli - le aveva mai notate. Ci voleva una studiosa di nome  "Frugoni" :) 

Io stesso, la prima volta che ho letto l'articolo di Chiara Frugoni ed ho guardato con i miei occhi le otto foto con la precisa intenzione di cercare l'immagine, sapendo che c'era, le ho osservate tutte attentamente un paio di volte, senza vedere nulla. Ho pure pensato di essere rimasto vittima dell'ennesima bufala di internet (si, mi capita, come a tutte le persone che, come me, si fidano), prima di riuscire a scorgerlo. E' solo dopo averlo "visto" che mi è apparso nella sua innegabile presenza. Il diavolo. Quello che, come ci dicono i proverbi, si nasconde nei dettagli. Non conosco l'interpretazione data dagli studiosi alla scelta pittorica di Giotto. A me il messaggio appare molto chiaro: ci risulta sempre estremamente difficile riuscire a "vedere" il male che abbiamo sotto gli occhi.

E siccome io l'ho avuto sotto gli occhi per tanti anni, senza inquadrarlo, avvertendone qua e la la presenza, senza vederlo nella sua interezza, vorrei proprio condividere questa scoperta. 

Non ci sono solo "complottisti esoterici" a vedere il diavolo in giro, nel sistema finanziario: c'è anche la Financial Services Autority, il regolatore ufficiale Britannico. Magari è meno drastico nel proporre soluzioni di quanto non sia diventato io. Intanto lo vede, chiaramente: in questo articolo: "Debt, Money and Mephistopheles: How do we get out of this mess?" Il Diavolo mescolato con il Debito ed il Denaro.


Chiuso l'inciso. Torniamo a seguire, con più sentimento e attenzione, la storia ed i nostri passaggi logici.

A partire dal 1992, i "nostri" Istituti di credito di diritto pubblico vengono trasformati in Società anonime. Le S.p.a. vengono quotate in borsa e iniziano a rispondere alle logiche dei mercati. 
La prima, fra queste logiche di mercato, è che per lavorare serve il capitale. Tanto capitale. Parlando di banche, occorre non confondere i depositi ed i prestiti dei clienti con il patrimonio proprio della banca. E' di questo che c'è bisogno, per poter poi operare con depositi e prestiti (ed altre cose). Prima, all'occorrenza, il capitale lo metteva lo Stato. E siccome il capitale serve a rassicurare i terzi, il fatto che ci fosse lo Stato rassicurava tutti. Non era importante per le banche essere molto capitalizzate. Bastava la garanzia implicita della presenza pubblica. poi le cose sono cambiate.
Seconda logica: quando ti servono soldi per far crescere il capitale sociale (patrimonio) che serve a far crescere tutta l'attività, li devi chiedere ai mercati. Intanto registriamo (in coerenza con l'argomento del post) quello che i privati sanno assai bene: la crescita del Patrimonio è indispensabile alla crescita dell'attività, qualsiasi essa sia. I privati che propongono le privatizzazioni, sanno assai bene che, comprimendo il Patrimonio dello Stato, comprimeranno la sua libertà d'azione, e di difesa.
Terza logica dei mercati: lo Stato deve starsene fuori dai giochi. Perché? Perché è meglio per tutti (ci dicono). Sai, la mano invisibile.. Ricordiamo che uno dei principi cardini sui quali è fondata l'Unione Europea è nel divieto di aiuti di Stato alle aziende. Lo Stato viene limitato nella possibilità di intervenire a ricapitalizzare le sue banche. Con norme sfumate, interpretate da diversi paesi in maniera diversa. Alcuni europei hanno ancora una presenza pubblica importante nel sistema finanziario, ed hanno interpretato in maniera un po' elastica quei principi di non ingerenza. Noi, sempre in maniera rigorosa. Per alcuni aspetti siamo molto più bravi e rigorosi. Complimentiamoci con noi stessi, ma leghiamocela al dito.
Conseguenza logica della logica di mercato, guarda un po': è il graduale passaggio ai mercati privati della proprietà del sistema finanziario, ex pubblico. Per essere logica è logica: non c'è che dire. Efficace, stringente: Non c'è scelta: un pezzetto di trasferimento dal pubblico al privato diventa inevitabile ogni volta che c'è bisogno di nuovo capitale. 

Approfondiamo allora i motivi per cui può nascere il bisogno di nuovo capitale.

Due cose rendono necessario l'aumento di patrimonio delle banche. La prima è data dalle regole sull'adeguatezza patrimoniale. Le regole vengono proposte da organismi privati sopranazionali e trasformate in legge dall'Unione Europea. La Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS o BRI) è un po' la banca centrale delle banche centrali. Tira le fila sulle regole della vigilanza bancaria, assieme alle banche centrali. Sono gli stessi soggetti che, dopo aver fatto le regole, le modificano e le rendono, progressivamente, sempre più esigenti, stringenti (stringenti su chi?): Basilea I.. Basilea II.. Basilea III.. oggi il MES.. ci torneremo.

A proposito, mi devo ricordare di collegare il disegno della privatizzazione delle banche alla trasformazione del nome che viene dato all'immagine dell'Europa. Il fatto che quella che era la Comunità Economica Europea, viene trasformata in Unione Europea: ha molto a che fare con l'abbandono degli interessi "comuni" (Comunità..) e con l'asservimento del sistema monetario alla finanza e non più all'economia reale (Economica..); ma lo faremo altrove. Quando ci sarà più chiara la differenza fra economia e finanza.

Anche gli errori di gestione rendono necessario alle banche cercare nuovo capitale sociale. Gli errori, come sarebbe sempre giusto che sia, si pagano: causano perdite; distruggono il Patrimonio; ed ecco che si rende  necessario trovarne di nuovo. Chiedendo, con il cappello in mano, ai mercati (privati) di darci nuovamente fiducia, assieme ai suoi soldi. In cambio di questi soldi, si cede loro un pezzetto di "sovranità" (il potere di decidere). 

Già, triste considerazione: la "sovranità" si cede in cambio di soldi

Da un punto di vista più ampio, possiamo affermare che i soldi dei mercati finanziari stanno comprando la "sovranità" degli Stati che non sanno difendersi.

Non vi voglio tediare con tutta la storia della BNL, vissuta dal di dentro dal 1981 al 2007. Dalla storia di Atlanta in poi: il finanziamento all'Iraq di Saddam, 4 mila miliardi di lire... quello "concordato" in gran segreto con - o imposto da.. chi lo può dire - l'America e la J.P.Morgan. Anche perché mi fa un po' male. Un po' mi vergogno, ma lo dico: si riesce a volere bene alle Istituzioni. Era un'Istituzione. Prima di essere trasformata in una delle tante macchine private stritola persone per cavarne profitti.
Da allora è iniziato il lungo calvario che l'ha vista trasformare prima e degradare poi. Era la prima banca del Tesoro Italiano. Era la seconda banca in Europa per dimensione. Una delle maggiori al mondo. E' stata acquistata nel 2006 dalla francese BNP Paribas: unica banca continentale che  appartiene al ristrettissimo club delle grandi investment bank, assieme alla tedesca Deutsche Bank.  Per dovere di cronaca, segnaliamo che il passaggio di proprietà avviene subito dopo l'insediamento di Draghi nella poltrona di Governatore della Banca d'Italia. Quando ormai il suo valore era sufficientemente basso (suo della BNL), anche in conseguenza degli "scandali" (Fazio, Unipol..), ossequiosamente riportati da tutti i giornali e i TG che, quando occorre ai signori che li controllano, le cose ce le dicono: le hanno pronte nei cassettiE' bene ricordare che i passaggi di proprietà delle banche necessitano della approvazione della Banca d'Italia. Come è utile ricordare che, precedentemente all'arrivo di Draghi, quella autorizzazione era stata sistematicamente negata alle banche estere. Il BBVA, banca spagnola, si è logorato nell'attesa. Ma forse Spagna e Italia sono accomunate da un "destino" comune, a giudicare dallo stato in cui versa anche il sistema bancario spagnolo. Spero che la Spagna tenga duro nel resistere alle sirene dell'Unione che le vorrebbero imporre una ricapitalizzazione forzata (e la conseguente, inevitabile, cessione di Patrimonio e di "sovranità".. in cambio di soldi). Se avvertite del risentimento personale non è un caso. Lo devo ancora interamente digerire.

Torniamo a casa nostra. 

Ci domandavamo spesso, noi dipendenti BNL, semplici impiegati, funzionari e dirigenti, perché mai certe scelte organizzative da parte del vertice e del Consiglio di Amministrazione fossero così palesemente sbagliateA partire dalla scelta dei modelli e dei piani informatici. Quando l'attività cresce e si complica, avere informazioni complete e rapide è un presupposto non rinunciabile per una gestione "sana e prudente". Cambiare piano dei sistemi in media ogni due/tre anni - assieme alle persone interne ed alle società esterne incaricate di svilupparlo ed attuarlo -  è più criminale che demenziale. Si sa che ci vogliono minimo due/tre anni per mettere in piedi un buon piano di adeguamento del sistema informativo. Svilupparlo in casa, il piano dei sistemi, è una soluzione intuitivamente migliore, vista la necessità di tenerlo continuamente aggiornato a nuove esigenze. Si capisce, no? Soprattutto per chi - come una grande banca - ha i mezzi per farlo, umani e finanziari. 
Esternalizzare (far fare cose interne da società esterne) fa tanto moda, è chic, è molto mercato (e lascia quella gradevole impressione, ai manager che lo hanno deciso, di non essere direttamente responsabili dei risultati). Si studia nei master universitari di gestione aziendale. Lo propongono le grandi società di consulenza. Quelle che sono le stesse che insegnano a tutte le banche come fare per uscire dai guai, esternalizzando prima certe funzioni, poi il Patrimonio. Vengono pagate profumatamente, per dare quei consigli. Il discorso della consulenza ci porta lontano. Tanto si intuisce, e ci torneremo ad approfondirlo nei prossimi capitoli.
Che tristezza nel constatare come neppure il rappresentante del Tesoro, seduto nel Consiglio di Amministrazione della BNL in veste di principale azionista, si sia dato da fare per imporre una volontà risanatrice. In quei tempi Mario Draghi era Direttore Generale del Tesoro: a cosa pensava? Almeno Ciampi, nelle sue varie posizioni di Governatore della Banca d'Italia, Ministro del Tesoro, Presidente del Consiglio dei Ministri, Presidente della Repubblica, con tutte le sue indiscutibili competenze, perché non si è imposto? Quale era il disegno per quella che, tutto sommato, era sempre La Principale Banca del Tesoro? 

Non piangiamo sul latte versato: pensiamo al presente. Degli insegnamenti del passato dobbiamo solo farne tesoro (lo dico a me stesso).

Torniamo invece insieme al '92 e continuiamo a prendere informazioni dall'articolo citato:

il 7 febbraio 1992... viene varata la legge 82 con cui il ministro del Tesoro Guido Carli (già governatore della Banca d’Italia), attribuisce alla Banca d’Italia la “facoltà di variare il tasso ufficiale di sconto senza doverlo più concordare con il Tesoro”. 
Il senso della legge è brutalmente semplice: su tutti i tassi d'interesse, cari banchieri, fate un po' voi.. e passatevi una mano sulla coscienza... siamo nelle vostre mani. Poi vedremo l'uso che è stato fatto del tasso di sconto in quello che fu anche l'anno della svalutazione della Lira sempre il 1992. Avevamo già visto in questo post come nel 1981 (con il "divorzio) era iniziato il processo di trasferimento dei poteri in materia monetaria dal Tesoro alla Banca d'Italia". Prima, il Tesoro chiedeva, e la Banca d'Italia era obbligata a dare (a Fra.. che te serve?). Dopo, il Tesoro deve chiedere ai mercati (privati, e sempre più esteri). Nel 1992 si aggiunge quindi un nuovo importante tassello della "cessione di sovranità monetaria": si toglie al Tesoro anche il potere di "concordare" con la banca centrale il livello del tasso ufficiale di sconto, quello con il quale la banca centrale rifinanzia il sistema bancario, che è pronto a diventare privato.
Signori, onore al merito, siamo di fronte ad un colpo da maestro: la sovranità è stata ceduta senza neanche incassare soldi. Anzi, di solito passa un po' di tempo prima che la cessione si traduca in un trasferimento di ricchezza dal cedente al cessionario, qui è stata immediata. 

Ritorniamo alla Fig. 6 per osservare le due accelerazioni nell'andamento del debito/pil: a partire dal 1981, la prima e dal 1992, la seconda. non parliamo di macroeconomia, materia noiosa: parliamo dei nostri soldi.


FIG. 6



Ma andiamo a zumare l'analisi sulle componenti del debito che fanno  peggiorare così rapidamente la situazione, pur senza perdere d'occhio l'insieme. Passare da una componente ad un'altra sembra un esercizio noioso destinato agli esperti. Noooo, vi prego, resistete! E' quello che vogliono: non farci capire. E' materia da furbi: si spostano soldoni dalle tasche di alcuni a quelle di altri. E siccome le tasche che si svuotano sono le nostre (gli alcuni siamo noi, e siamo tanti) vale la pena tenere gli occhi ben aperti. 
Rileggiamo una seconda volta questa analisi di Gianni Balduzzi e Lorenzo Newman che ci aiuta chiaramente a "vedere"  la trasformazione della natura del debito: dell'uso che ne viene fatto. Negli anni 70 il debito pubblico cresceva a causa di disavanzi primari, nell'ordine di grandezza anche del 9% del PIL. Vuol dire che lo Stato spendeva per servizi pubblici e per contributi alle aziende più di quanto incassava con tasse e tributi vari. Se spendeva bene o male è una questione importante, molto importante. In ogni caso, indipendentemente dalla valutazione di merito (per adesso), in un sistema che era relativamente chiuso, i soldi finivano nelle tasche dei cittadini e delle aziende. Quindi, in conseguenza di questa spesa, cresceva il PIL. Una spesa "qualitativamente" migliore, avrebbe prodotto risultati magnifici: un PIL ancora maggiore e, soprattutto, tanta soddisfazione, tanta giustizia in più e la possibilità di mantenere integra la nostra sovranità (ma è un altro discorso).  Intanto, la quantità della spesa pubblica spiega perché il debito/pil era comunque basso: livelli inferiori al fatidico quanto stupido 60% dei parametri di Maastricht che ancora non esisteva. Ironia della sorte (o opera del diavolo): da quando è nato come parametro legale, non è mai più stato rispettato. Non è un caso: ci arriveremo.

Negli anni successivi, '80 e '90, lo Stato smette di foraggiare cittadini e aziende in maniera diretta, restringe progressivamente i disavanzi primari fino ad invertire la tendenza: a partire dal 92 inizia ad accumulare avanzi primari. E mentre noi ci sentivamo orgogliosi, lo Stato inizia a togliere sistematicamente soldi dalle tasche dei cittadini e delle aziende: questo è l'avanzo primario! Il debito, però, non solo non diminuisce: esplode, soprattutto in rapporto al PIL (come si vede in Fig. 6). Da cosa dipende? Interamente dagli interessi, altissimi, soprattutto nei termini "reali", al netto dell'inflazione che inizia a rientrare dopo gli shock petroliferi degli anni 70.

Chiarissima la figura 14c, presa dall'articolo di Balduzzi, che merita davvero riflessioni accurate. Prego: un respiro profondo.


FIG: 14c


Tutta la zona formata dalle diverse sfumature di grigio rappresenta il deficit annuale: la differenza fra spese totali (alte) e entrate totali (più basse). Il deficit annuale è quello che, sommato anno dopo anno, dà origine all'accumularsi del Debito Pubblico. Le diverse sfumature sembrano insignificanti; invece dovrebbero brillare e accendere potenti riflettori: ci dicono dove vanno a finire quei soldi, chi li paga. La dobbiamo studiare e per capirla meglio facciamo una brevissima premessa tecnica.


La Spesa Pubblica (dello Stato) è una componente importante del Prodotto Interno Lordo (la ricchezza prodotta da tutto il paese). La spesa dei cittadini e gli investimenti delle aziende sono le altre due componenti del PIL, assieme alla quarta ed ultima: il saldo dei rapporti commerciali con l'estero.  Se aumenta la spesa pubblica (e va a finire nelle tasche di cittadini consumatori e aziende che investono in Italia) aumenta il PIL. Se diminuisce la spesa pubblica diminuisce il PIL. Se si aumentano le tasse, si sottrae al potere di spesa dei cittadini ed alla possibilità di investire delle aziende.  Se sale il PIL, si dice che l'economia cresce. Se scende, siamo in recessione. 
Cosa sia la recessione non ce lo dice la macroeconomia, ma il nostro buon senso e la nostra capacità di essere compassionevoli. Sono concetti spiegati molto meglio dal dolore che la disoccupazione e l'aumento della povertà portano con se; assieme alla chiusura di molte aziende e quella di qualche vita umana.  La politica ci dovrebbe spiegare perché quel dolore viene scaricato sempre sui più deboli e fragili, proprio nel momento del bisogno, anziché sui più forti e resistenti, come sarebbe logico, e umano.  La psicologia sociale ci spiega perché questo possa accadere.  L'Unione Europea ci spiega perché cedere la sovranità ad organismi insensibili, quali i mercati finanziari, molto lontani dai cittadini che soffrono, è processo necessario ad applicare l'austerità.
A chi giova l'austerità? Non ce lo dice nessuno. O crediamo alla mano invisibile, oppure cerchiamo di aprire gli occhi, aiutandoci gli uni con gli altri a vedere e giudicare meglio.  Iniziamo.


gli interessi (grigio più chiaro + grigio molto scuro in fig. 14c: zona delineata fra la spesa totale e la spesa senza interessi), finiscono nelle tasche dei possessori di titoli di stato (che possono essere cittadini risparmiatori, aziende, banche, istituzioni finanziarie varie,  italiani ma anche esteri); 
il disavanzo primario (più spese che tasse, tolti gli interessi), distribuisce soldi a famiglie e aziende che ricevono servizi pubblici e trasferimenti. Purtroppo, anche ai politici corrotti e agli amici dei politici (i privati corruttori), è vero; ma non cambia la sostanza: vuol dire solo che poteva andare perfino meglio. Chi paga il conto? Pagano  quelli che pagano le tasse e i tributi vari. Ma, attenzione, pagano poco: le tasse sono ancora molto basse, all'inizio. Più basse della spesa senza interessi. Come avviene il miracolo? L'inflazione ne spiega una parte (monito a chi la sottovaluta: non è cosa facile, domare l'inflazione in questi contesti; la storia insegna ma ne parliamo nel prossimo paragrafo). La crescita del debito spiega la parte rimanente. Ci torniamo fra breve.
l'avanzo primario (più tasse che spesa, tolti gli interessi), fa invece male un po' a tutti. I cittadini e le aziende ricevono meno soldi. I politici corrotti, come vedremo poi, vengono sostituiti (ma solo parzialmente) a causa di "mani pulite". I privati corruttori pare che se la cavano in ogni caso: sanno difendere molto bene le proprie posizioni. Chi paga le tasse inizia a soffrire. La pressione fiscale complessiva esplode e passa dal 35% di inizio anni '80 al 45% del 1995. E lì vivacchia fino ai giorni nostri, per riprendere la salita solo con le manovre degli ultimi due governi. Non è il caso di affrontare la questione della riforma fiscale ora, perché merita un grande approfondimento. Diciamo solo che è in quei decenni che si formano le basi per il sostanziale tradimento dei principi costituzionali sanciti dall'art. 53. La legge delega n.825 del 1971 predica l'attuazione dei principi che impongono di far pagare le tasse in funzione della "capacità contributiva" e della "progressività". Non è stata mai attuata, quella legge che giustamente voleva far pagare le tasse ai ricchi. In armonia con quanto avviene nel resto del mondo, le tasse le devono pagare i poveri (Reagan in USA, Tatcher in GB). La proposta viene quindi da noi superata dalle leggi 600 del 1973 e 917 del 1986. Da allora, le tasse in Italia le pagano solo i lavoratori dipendenti e i pensionati. Sia in maniera diretta (tasse sul reddito), sia in maniera accentuatamente più indiretta (tasse indirette sui consumi e sulla proprietà della casa). Negli ultimi anni, più vicini ai nostri giorni, si è aggiunto un altro soggetto non tutelato dalla rappresentanza politica: le piccole imprese e gli autonomi non difese da potenti corporazioni. Anche loro stritolati dall'insaziabilità del grande capitale. Ci torneremo. Intanto fate mente locale alla sintesi e dite se vi risulta: in Italia più sei ricco e meno tasse paghi. Perché, se sei ricco, i soldi non li fai più con il sudore della fronte, ma con il capitale accumulato. La finanza serve a questo: fare soldi con i soldi. Le tasse sul reddito da capitale sono le più basse di tutte le altre!
Torniamo al grigio scuro dell'avanzo primario: tutti pagano. Chi incassa? Solo i possessori di titoli di Stato.


Torniamo ora alla figura 14c con uno sguardo d'insieme.


A causa degli alti interessi sul debito, il saldo totale è sempre negativo (deficit annuale). I sacrifici ci sono, ma non producono risultati (esattamente come oggi, guarda caso). Il debito continua ad a cumularsi, anno dopo anno. 

Altro aspetto, importante. 

Prima, gli interessi erano alti; ma solo nel valore nominale. Quello che invece conta molto, per un tasso di interesse (e raramente ne sentiamo parlare da TV e giornali) è il confronto con l'inflazione. Erano tassi nominali più bassi dell'inflazione. Il "tasso reale" d'interesse (quello che conta veramente) è il tasso nominale, diminuito del valore dell'inflazione. Chi paga un tasso reale negativo, paga un tasso veramente da Re! Sta ricevendo dei soldi per il privilegio di prenderli in prestito. Così era per lo Stato nel periodo tanto demonizzato dell'alta inflazione. Quando era "sovrano". Ma le cose cambiano. 
Nel frattempo gli avanzi primari (che tolgono soldi a famiglie e aziende) comprimono la velocità di crescita del PIL (la possibilità di spendere e investire). Questo rallentamento della spesa fa raffreddare l'inflazione. Diventa sempre più difficile pretendere tassi "da re", inferiori al livello dell'inflazione. Soprattutto se, nello stesso periodo, cominciamo a "cedere la nostra sovranità".
Infatti, i tassi reali diventano sempre più inesorabilmente positivi. Assieme al progredire degli avanzi primari. Il nuovo sovrano è quello che ci guadagna. Chi è? Quello che prende gli interessi reali, (divenuti positivi). 
Ricordiamo che in questo frattempo, fra il 1981 (divorzio) e il 1992 (tasso di sconto diventato autonomo), il potere di decidere quanti interessi deve pagare lo Stato ai detentori dei titoli è stato consegnato un po' alle banche private un po' alla Banca d'Italia, resa autonoma.

Altra zumata. Chi prende gli interessi?

Abbiamo parlato di famiglie, aziende, banche, istituzioni finanziarie di vario genere. Avevamo accennato anche al fatto che possono essere soggetti sia italiani, che esteri. La globalizzazione, l'Unione Europea e i principi del neoliberismo ci hanno inculcato nella testa un messaggio granitico: estero è bello e buono. Attirare capitali esteri è cosa buona e giusta. Il Tesoro, che ci vuole bene, inizia a darsi da fare, in quel periodo, per andare a caccia di capitali esteri. Il direttore Generale Mario Draghi era li, in quei tempi.
E siccome, quando ci si mette, la Pubblica Amministrazione riesce a fare veramente bene le cose che vuole fare, la quota di titoli del debito pubblico italiano posseduta dal sistema Italia diminuisce e sale quella posseduta dagli investitori esteri. Nello stesso tempo, aumenta la quota posseduta da banche e istituzioni finanziarie a scapito di quella posseduta dalle famiglie. Quest'ultima parte, a dire il vero, si accentua mano a mano che il sistema delle grandi banche italiane, trasformate in S.p.a. diventano sempre più private e sempre più concentrate sull'unica cosa che conta, per i soggetti economici privati: fare profitti. Lo vedremo molto accuratamente nel Capitolo II come le banche private hanno avuto bisogno di smettere di proporre agli Italiani risparmiatori BOT, BTP e CCT, sulla cui intermediazione guadagnano bassissime commissioni; per vendere loro, invece, prodotti d'investimento di natura finanziaria. Sempre meno comprensibili e opachi, quanto basta a poter prendere commissioni che possono essere fino a 100 volte superiori a quelle che avrebbero preso sulla vendita di un titolo di Stato (100 volte non è un modo di dire: è una truffa). Senza, naturalmente, che il cliente potesse accorgersene. Alla faccia della Trasparenza e delle leggi ipocrite.

Saltiamo un po' di anni e arriviamo ai giorni nostri per dare, di botto, uno sguardo al risultato di un processo di trasformazione che, ormai lo abbiamo capito, deve essere molto lento e graduale per evitare di essere percepito. Lo facciamo in Figura 14d, tratta da questa interessante relazione del Dipartimento del Tesoro, nel quale è scritto a chiare lettere:

" La distribuzione del debito a livello internazionale. Nel corso del 2007 è proseguito l’obiettivo di penetrazione del debito pubblico italiano nei portafogli degli investitori internazionali " Ecco: ce l'hanno come obiettivo dichiarato. Lo hanno perseguito efficacemente per anni, come dimostra la figura:



FIG 14d



Non sono geroglifici: sono spine nella nostra carne. O fate voi..

Colonna celeste: scende la quota dei titoli del debito italiano posseduta da famiglie e aziende italiane che, diciamocelo, visto che si sentono ignoranti, vengono consigliate negli acquisti dagli intermediari finanziari. Scende drasticamente, la quota: dal 50% del 1995 a poco più del 10% del 2006.
Nello stesso periodo gli intermediari finanziari italiani (sono quelli viola, quelli che consigliano a famiglie e aziende di vendere titoli di stato) li continuano a tenere belli stretti in portafoglio. Anzi, prima aumentano la quota, fino al 1998, poi, pressati dall'ottimo lavoro del Ministero del tesoro, devono arrendersi, per il bene della Patria, e  cedono il passo allo straniero. Conclusione: il settore estero (essenzialmente finanziario), di un bel rassicurante blu finanza, fa man bassa e vede salire la sua quota dal 14% iniziale a ben oltre il 50% finale. 

In sostanza: fra il 1995 ed il 2006, bot cct e btp passano di mano, assieme agli interessi: dalle famiglie e dalle aziende italiane agli investitori istituzionali esteri. Un vero successo per le politiche mirate del Tesoro. Ci sono riusciti.

Ah.. a proposito: bot e cct restano in Italia, sostanzialmente. Sono quelli che rendono poco. Gli stranieri preferiscono i BTP che, naturalmente, rendono di più. Un bancario, mio carissimo conoscente, ci si è preso l'esaurimento nervoso provando a resistere in tutti i modi agli inviti insistenti che si fanno nelle banche per spiegare alla forza vendita (mica uomini: forza vendita) come incrementare le vendite di alcuni prodotti, e non altri. Voleva vendere titoli di stato: sembrava una cosa buona per i clienti. I prodotti strutturati non li capiva. Non sembravano una cosa buona. I questi casi, l'azienda fa largo ai giovani che sono più competitivi; i consulenti dicono: assertivi.

Domanda delle 100 pistole : quanto conta il fatto che gli interessi pagati dallo Stato sul debito pubblico finiscano nei bilanci delle banche estere? Interessi che vengono pagati sempre di più con tasse prelevate da lavoratori dipendenti, pensionati, proprietari di casa e piccole imprese?

Dov'era il buon  Alan Ford mentre il mitico Superciuck  (Super.. toh! coincidenze anche nei fumetti: Super...Mario) rubava ai poveri, distraendoli con la sua portentosa fiatata alcolica, per dare il ricavato ai ricchi? Quando da ragazzo leggi i fumetti mica ti accorgi che parlano molto del mondo reale. Con gran lucidità.

Attenzione attenzione. Magari del PIL non ce ne importa nulla ma, fino a quando la spesa pubblica totale (comprensiva quindi anche degli interessi) resta in Italia, quei soldi girano nelle nostre tasche: cittadini, aziende, banche, italiani. Sono soldi disponibili per consumi o investimenti privati nel circuito dell'economia domestica. La fanno crescere, si trasformano in lavoro e beni reali prodotti col sudore della fronte. Se prendono la via dell'estero, faranno crescere il PIL di qualcuna altro, si capisce, no?

Attirare capitali dall'estero, per piazzare titoli italiani, comporta inevitabilmente l'impoverimento dell'economia italiana. Il discorso vale anche per aziende a capitale estero, per supermercati a capitale estero, ma porta lontano e lo riprenderemo. Perché hanno tolto l'insegnamento dell'Economia Domestica dalle scuole elementari? Mettiamolo negli asili, per favore.
Basta considerare che, se è un bene per tutti attirare capitali esteri, non dovrebbe forse essere un male, sprecarli andando ad investirli all'estero? Dobbiamo ritenere allora che anche le istituzioni finanziarie estere (molte francesi e tedesche, ma anche altre) ci abbiano fatto gratuitamente un gran favore, facendosi del male? 
Ultima conferma della nostra intuizione: fino a quando i tassi "reali" erano negativi stava bene a tutti che rimanessero in Italia; quando sono diventati positivi siano venuti a prenderseli da tutte le parti del mondo

Eppure sembra tanto convincente il discorso di attirare capitali dall'estero: suona proprio bene. C'era un tempo in cui ho litigato accanitamente con mio cognato che demonizzava la globalizzazione mentre io sostenevo che rendeva giustizia ai popoli del terzo mondo. Il coinvolgimento.. quello che ti fa vedere tutto brillante.

Ora, vediamo insieme i nomi di quelli che, secondo il ragionamento liberista del Tesoro, dovrebbero portare l'anello al naso. Rileggiamoci in Fig. 5 i nominativi aggiornati ad oggi dei Primary Dealers, gli unici intermediari finanziari autorizzati a comprare i titoli di Stato italiani nel momento dell'emissione. Cioè in asta: quel meccanismo in base al quali le offerte dei partecipanti decidono il prezzo che lo Stato dovrà pagare ai partecipanti (tanto lo sappiamo che il conflitto d'interessi in Italia non vale). Questi elencati dovrebbero essere i polli che si sono lasciati convincere a farci un favore. Comprano in esclusiva titoli di stato italiani, per accordi col Tesoro, senza pagare commissioni; anzi, con un piccolissimo sconto: per il servizio reso.


FIG. 5



Mi ero sempre domandato, senza risposta, che senso ha guardare all'avanzo primario e non al disavanzo complessivo, visto che l'avanzo è positivo ma, aggiungendo gli interessi all'osservazione, si inverte il segno e la cosa finisce per pescare nelle nostre tasche. Dalle intuizioni di prima, oggi intravedo una risposta più chiara. Solo dopo queste riflessioni, messe nero su bianco.
L'avanzo primario è una gran "sola". Al netto degli interessi, vuol dire: "senza considerare gli interessi". Il che è vero dal punto di vista matematico, ma anche psicologico. Il messaggio è: non guardare gli interessi, ignorali, non ti preoccupare, ci pensa qualcun altro. E' il messaggio, suadente, del Gatto e la Volpe. Ci dicevano, a noi cittadini pazienti, che andava tutto bene mentre ci invitavano ad ignorare gli interessi.

Negli anni del grande rigore: fra il 1993 e il 2001 l'Italia si prepara orgogliosa ad entrare nell'Euro e spinge sull'avanzo primario. Sbandieravano con orgoglio sui giornali il progredire dell'avanzo primario che, in nome di un rinnovato "rigore", cresceva e ci faceva sentire orgogliosi dei nostri sacrifici, mentre il debito pubblico - a causa degli interessi, diventati pesantemente reali - continuava a crescere. Mi sono sentito orgoglioso, in quegli anni. 

Gli interessi pagati ogni anno sono più grandi dell'avanzo primario ed il Debito Pubblico continua a crescere, in valore assoluto. 
L'avanzo primario è virtuale: infatti non corrisponde necessariamente ad un avanzo; pesca nel nostro immaginario. Il saldo totale, invece: spese - tasse (che non ignora gli interessi ma li considera), è quello reale. Quando il saldo totale è negativo (dicesi deficit) pesca nelle nostre tasche. E' sempre stato negativo. Ce lo dice spietatamente il totale del debito pubblico che, anno dopo anno, cresce in valore assoluto. Qualunque cosa abbiamo fatto finora, non è mai sceso, il suo valore assoluto

Può scendere, invece, (transitoriamente) il suo valore relativo: il debito in rapporto al PIL. E' forse per questo motivo che ci suggeriscono di guardare a quello, e non al valore assoluto? Per rassicurarci che, con i nostri sforzi, possiamo produrre risultati utili?

Come mai nel periodo fra il 1995 ed il 2001 il rapporto debito/PIL non sale più? Dopo il picco di poco superiore al 120%, inizia una discreta discesa verso il 100% del 2002, e lì attorno resterà per i primi anni dorati dell'ingresso nell'Euro (figura 6). Se il Debito sale, ma il rapporto scende, vuol dire che il PIL deve essere salito discretamente, in quegli anni. Nonostante l'avanzo primario (che toglie soldi dalle tasche dei consumatori e delle aziende). O deve essere successo qualcosa di straordinario. Andiamo a vedere.

Due fattori incidono. Le dismissioni del Patrimonio Pubblico, che iniziamo a vendere ai privati (i salvatori che generosamente se ne sono fatti carico). I ricavi della vendita delle aziende di Stato vanno ad incidere direttamente sull'abbattimento del debito. Sempre in quegli anni, i rapporti commerciali con l'estero migliorano, invertendo - per poco tempo - il segno complessivo. 
Leggiamo questo interessante articolo di due studenti dell'Università degli Studi di Milano Bicocca. Citano anche una fonte: "Le privatizzazione Italiane" a cura di S. De Nardis, Il Mulino, Bologna 2000. Riporta i numeri che ci interessano sulla vendita delle aziende di Stato. Interessante per quanto riguarda il 1992, che è un anno cruciale per il processo di cessione del Patrimonio pubblico.



Grazie Prodi. Amato, Ciampi. Una cifra superiore ai 200.000 miliardi di vecchie Lire, quindi pari ad oltre 100 miliardi di euro, entra nelle casse dello Stato, in quegli anni. E ci apre la strada per l'Unione Europea. Si impoverisce strutturalmente lo Stato, si pregiudica il futuro, ma vabbé... nella logica neoliberista lo Stato non deve esistere, se non per spianare la strada al grande capitale internazionale.

Andiamo ai rapporti commerciali con l'estero.

Prendiamo dalle serie storiche dell'Istat i saldi normalizzati del commercio estero negli anni dal 1980 al 2011, riportati in figura 14e



Si vede come solo negli anni successivi alla svalutazione della lira del 1992 il commercio estero produce per l'Italia un apporto positivo al PIL. Non era una "svalutazione competitiva". Era il normale, dovuto, inevitabile riequilibrio dei rapporti monetari con atre monete (Marco tedesco in testa) sottovalutate sul profilo "reale" (cambio al netto dell'inflazione... centra sempre l'inflazione...). Dovremmo aver capito che l'aggettivo "reale" è quello che conta; anche ai fini della sovranità...

Per approfondire l'argomento dei rapporti fra: cambio reale; commercio con l'estero; indebitamento del settore privato con l'estero; conseguenze sui salari; seguire Goofynomics e rileggere nuovamente il già citato libro "Il Tramonto dell'Euro". Fra simpatiche storie dell'Oca, aneddoti divertenti e qualche scintilla coi lettori, ci sono scolpite delle verità economiche che non ci vengono illustrate dal sistema mediatico ufficiale.


Negli anni successivi all'ingresso nell'Euro entriamo in una specie di limbo, per quanto riguarda il rapporto debito/PIL. Avviene il miracolo: resta sostanzialmente fermo, oscilla poco, da un anno all'altro, senza seguire un trend particolare. Fino alla crisi finanziaria.

Perché? Innanzitutto fa comodo. Non pensate, per favore, che vi stia prendendo in giro. L'economia non è proprio una scienza esatta, matematica. Studia i comportamenti dell'Homo Oeconomicus, che è un po' astratto, capisco. Però, per chi ha letto anche superficialmente qualche libro di macro economia, appare evidente una cosa che è banale: se il Governo usa appropriatamente quelle che si chiamano, non a caso le leve di governo dell'economia, è in grado di farla andare in su, oppure in giù. Capisco lo scetticismo. Ma vi assicuro che è proprio così. Se premi sull'acceleratore l'economia accelera e se premi il freno quella frena. Ci complicano la vita e ci confondono le idee con la finanza, ma quattro regole basilari dell'economia sono semplicissime. Una classe politica che ha deciso di trasferire queste leve ad istituzioni poco trasparenti e lontane dal controllo democratico; che ha provato a chiedere il permesso e se lo è visto negare (i referendum Danese e Francese hanno bocciato il progetto); che ha riscritto queste cose in maniera più illeggibile e inutilmente complicata nei Trattati di Maastricht e di Lisbona, e le ha fatte approvare senza discussione pubblica.. non parla volentieri delle leve di governo dell'economia. Hanno a che fare con la Sovranità. Con la democrazia. Con il nostro benessere. Torniamo a noi: che il debito/PIL non subisca scossoni nella fase di avvio dell'Euro fa comodo. Ad ogni modo, se preferiamo pensare che sia un caso, fa lo stesso. Osservazione empirica: è stato buono buono fino alla crisi finanziaria.

Il PIL, in quegli anni, continua a rimanere appesantito (cresce poco, soprattutto nel confronto con i partner) ma senza particolari tensioni. La rigidità del cambio, a fronte di diversi livelli di inflazione, comporta una rivalutazione del nostro cambio reale che diminuisce la competitività con l'estero: il segno dei saldi commerciali si inverte dal 2004 e resta negativo per tutti gli anni successivi. Gli interessi pagati sul debito pubblico, d'altra parte, compensano parzialmente l'effetto: rimangono abbastanza bassi, anche in termini reali. Siamo incassando fiduciosi il "dividendo dell'Euro" (oppure stiamo assorbendo sostanze che provocano assuefazione: all'inizio danno sensazioni piacevoli). In quel periodo non ci sono particolari operazioni sul patrimonio. Nulla di nuovo sul fronte occidentale. Ma il debito, in valore assoluto, continua inesorabile a crescere anche se, tutti contenti nel guardare il rapporto senza senso del debito/PIL, che resta fermo, nessuno ci fa caso. Stiamo tutti davanti alla televisione, in quel periodo, o a fare shopping, a viaggiare per l'Europa, finalmente senza il fastidio del cambio. Comunque a coltivare il nostro orticello,  privatissimo. Seguiamo la moda. Ogni tanto qualche morso alla carota ci viene concesso:)

E' tempo di una visione d'insieme sugli effetti prodotti dalla storia di quegli anni: la realtà bisogna guardarla negli occhi e fissarla intensamente per riuscire a "vederla".

Da quando è iniziato il processo, cioè dalle trasformazioni avvenute negli anni '80 e soprattutto '90, registriamo una coincidenza: l'andamento della crescita del PIL italiano rallenta drammaticamente nel confronto con il resto del mondo. 

Osserviamo in Fig. 15 come cresce lentamente l'Italia nel periodo fra il 1990 ed il 2006, prima dell'arrivo della crisi, nel confronto con tutti gli altri. Perfino il Giappone, che nella nostra fantasia è l'emblema della stagnazione e della trappola della liquidità (quelli che non crescono.. mai dire banzai..), fa meglio di noi.


Fig. 15

Fonte: IMF, World Economic Outlook database, Aprile 2005

Ritorniamo al 7 febbraio del 1992.

- sempre il 7 febbraio 1992, Giulio Andreotti come presidente del Consiglio assieme al ministro degli Esteri Gianni de Michelis e al ministro del Tesoro Guido Carli firmano il Trattato di Maastricht, con il quale vengono istituiti il Sistema europeo di Banche Centrali (SEBC) e la Banca Centrale Europea (BCE).
La Banca d'Italia, resa indipendente dal governo italiano, viene inserita nel SEBC e assoggettata quindi alla normativa dei Trattati, allo Statuto del SEBC, alla volontà della BCE. 
Vale la pena spendere un po' di tempo a ricordare anche alcuni aspetti generali della vita politica italiana in quel particolare anno, il 1992. Tornare a ragionare sugli  scandali quotidiani di "mani pulite" che preparano il passaggio dalla "prima repubblica" alla seconda, e sdoganano la nuova "classe politica dirigente". 
Facciamolo ascoltando anche questa recentissima intervista che Claudio Messora fa a Loretta Napoleoni:




E' lucidissimo il passaggio fra avvento della nuova classe politica dirigente e la trasformazione dell'Europa. Forse la vecchia, corrotta e inefficiente, amava di più il nostro Paese. Non sono certo le persone, da rimpiangere. Ma alcuni valori assolutamente si. E' lunga: sono 48 minuti. Ma la storia  - che ci viene deliberatamente negata dalla scuola e dal sistema informativo ufficiale - è  maestra di vita, e merita tempo e letture da tante angolazioni diverse.

Dicevamo che il 1992 è anche l'anno della svalutazione della Lira. Quante coincidenze. Ci sono tensioni sui mercati delle valute, che in quel periodo erano imbrigliate nel Sistema Monetario Europeo basato sull'ECU. Ma anche tensioni sui tassi d'interesse. La cui gestione, come abbiamo visto, era stata affidata proprio da inizio anno alla banca centrale. Le tensioni sulla Lira erano causate da quello che viene presentato come un vile attacco speculativo (ma forse era un banale calcolo economico sulla non sostenibilità del cambio, denunciato da numerosi economisti in tutto il mondo). Le tensioni sui tassi di interesse, invece, sono deliberatamente causate dalla Banca d'Italia, nel tentativo disperato di "difendere" la parità, che alza drammaticamente il tasso di sconto, causando così una recessione nel periodo successivo; spende una parte consistente delle riserve valutarie (che, come le riserve in oro, sono riserve dello Stato ma la legge ne attribuisce la proprietà alla Banca d'Italia); alla fine si arrende, abbandonata senza preavviso dai partner europei, impegnati dagli accordi del Sistema Monetario Europeo ad agire in maniera coordinata (va avanti te.. che a noi ce vie' da ride). I giornali dell'epoca e la retorica successiva hanno sempre presentato quel tentativo "disperato" come "eroico". Ad una banca centrale - che è stata elevata a miglior guida - si chiede di fare l'eroe in un tentativo senza speranza? O la capacità di ragionare con almeno la stessa freddezza calcolatrice degli operatori di mercato, avallati da tanti studi di tanti economisti?

Se calcolo c'è stato, non ci è stato mai raccontato.

Ah.. dimenticavo: negli anni ottanta era vietato alle banche italiane di speculare sui cambi e sulla propria valuta. Ma questo è prima delle "riforme strutturali". Prima del via libera alla mano invisibile. Le cose buone da fare sono semplici. Basta volerlo. Non le vediamo perché non ce ne parlano. Ci parlano d'altro. Mano a mano che arrivavano le liberalizzazioni, fra cui il diritto prima rigorosamente negato di speculare sui cambi della lira e poi quello di giocare coi derivati, negli Istituti di credito di diritto pubblico ci si divertiva molto. Poi, con la privatizzazione, è cambiata l'atmosfera. Ci torneremo nel prossimo capitolo.

Possiamo finalmente lasciare il 1992 per seguire, sempre sul nostro articolo, altre interessanti informazioni andando avanti con gli anni.

Il 4 gennaio 2004 Famiglia Cristiana rende note le quote di partecipazione alla Banca d’Italia. Si scopre così, per la prima volta... che l’istituto di emissione e di vigilanza...è, per il 95% in mano a banche private.

La Banca d'Italia, pur restando un istituto di diritto pubblico, che svolge una funzione di assoluto interesse pubblico, appartiene dunque a soggetti privati. Le quote di capitale appartenevano prevalentemente agli Istituti di credito di diritto pubblico. Nel tempo questi istituti sono diventati privati, ed ecco il trasferimento di proprietà: chi ha acquistato la COMIT, l'Unicredit, la Bnl, ha acquistato le quote di controllo della Banca d'Italia. Che, come dicevamo, per legge ha la proprietà delle riserve auree e valutarie del Paese (ma se sono del Paese, che vuol dire che la proprietà è della banca centrale? Mistero gaudioso.. o curioso.. il catechismo ci ha abituato a recitarli come litanie, non ci facciamo più caso). Non mi chiedete quale sia questa legge perché non l'ho ancora trovata, ma non mi arrendo. Dovrebbe esistere, se lo dice la stessa Banca d'Italia sul suo bilancio del 2010, a pagina 291:  "L’Istituto detiene le riserve ufficiali del Paese (oro e attività in valuta verso non residenti nell’area dell’euro), la cui proprietà è assegnata per legge alla Banca d’Italia."
Quel bilancio lo trovate qui.  Qui invece, un articolo sull'argomento di Giorgio Vitangeli, che non conosco ma ho incontrato nella ricerca. Sembra interessante.

Attenzione: le banche sono soggetti privati che, con il tempo, diventano di proprietà estera. Perché è normale che quando sei privato segui le logiche (e gli interessi) dei privati. Diciamocelo chiaramente: ai soggetti privati interessa sostanzialmente poco dello Stato e dei confini, direi per definizione; sicuramente interessa meno del proprio interesse privato. Registriamo un altro dei principi cardini dell'Unione Europea: consentire la proprietà oltre frontiera è un dovere; (attirare capitali esteri) è un valore sacro santo, da difendere e incentivare. Perché? Perché è un bene per tutti (ci dicono). Sai, la mano invisibile.. 
Ecco; assieme a tanti altri colleghi, non ci è apparsa invisibile e discreta, quella mano della BNP Paribas, concreta, francese e pesante, che è venuta a sconvolgere le nostre esistenze, nella BNL. Ce le siamo sentite addosso. Frugare nell'intimo.

Veniamo ad oggi.

Qui troviamo l'elenco dei possessori di quote di proprietà della Banca d'Italia, che è aggiornato al 8 febbraio 2013, come risulta sul sito ufficiale a questo indirizzo.
Il controllo di Unicredit è in mano estere, BNL è interamente francese, che fine farà il MPS lo vedremo presto...
E' vero che il Governatore è nominato dal Governo (chi c'è al governo?). I membri del Direttorio e del Consiglio Superiore della Banca d'Italia, però, sono nominati dai possessori di quote: privati ed esteri.
E' anche vero che il grosso degli utili prodotti viene assegnato allo Stato, ma fra i 60 ed i 70 milioni di euro di utili prodotti dalla nostra banca centrale vengono distribuiti, a norma dello Statuto del 2006, a soggetti privati (ed esteri). Confrontare, per verificare, l'ultima pagina del bilancio, nell'ultima nota, dove viene evidenziata la "proposta" di ripartizione. Chissà se un domani le banche private estere approveranno quelle "proposte" di ripartizione degli utili fra Stato Italiano e banche private (estere)?  Certo. E' scritto nello Statuto. Ma, allora, cosa vuol dire "proposta" di ripartizione. Se qualcuno propone qualcun altro "dispone". Chi può cambiare lo Statuto? I proprietari.

Nei documenti ufficiali, ci possiamo giurare, neppure le virgole sono messe a caso. Spostano miliardi e potere, le virgole dei documenti ufficiali. Al punto giusto, in mezzo a 500 pagine di cose poco chiare, c'è la virgola, la parola, la frase apparentemente innocua, che vien fuori al momento giusto, nella distrazione generale. Ho visto gente farci carriera, spostando sapientemente le virgole, nella direzione generale di una grande banca.

Immortaliamo l'ultima pagina del bilancio 2010 della Banca d'Italia in figura 15a (mi era capitato di ricercarlo, l'altro giorno, e di aver trovato il sito in manutenzione: sensazione sgradevole).


FIG. 15a




Il processo di privatizzazione è strisciante, ma inesorabile.

Anche il processo di svendita degli interessi nazionali, attraverso la privatizzazione delle aziende dello Stato, e non solo, è strisciante ed inesorabile. Ed è sotto i nostri occhi la circostanza che troppe aziende italiane siano finite e stiano  continuando a finire in mano estere. 

"Il Miracolo Scippato" di Marco Pivato e "Chi ha tradito l'economia italiana" di Nino Galloni, sono libri che rendono l'idea di quanto lungo, ma sistematico, possa essere questo processo.
Si legge sull'ultima di copertina del libro di Pivato: "Agli inizi degli anni sessanta, l'Italia vantava alcuni poli di eccellenza scientifico-tecnologici che il mondo le invidiava in quattro settori strategici: informatico, petrolifero, nucleare, medico. Oggi.. è il fanalino di coda.. per scarsità di innovazione e ricerca. Perché?" 
Fa male leggere dei casi Olivetti, Mattei, Ippolito e Marotta, dove l'attacco agli uomini è evidentemente strumentale alla distruzione dell'eccellenza italiana. Ma è una catarsi di cui abbiamo bisogno.

L'Istituto per la Ricostruzione Industriale, l'IRI, smantellato con le privatizzazioni, era un gioiello che gli esteri ci invidiavano. Le "partecipazioni statali" configuravano un equilibrio difficile fra pubblico e privato che - nonostante la corruzione - aveva consentito all'Italia di raggiungere i vertici delle graduatorie mondiali per crescita, per ricchezza prodotta, per ricchezza privata. Ce lo ricordiamo, sì, che si dibatteva se eravamo la sesta o la quinta potenza economica mondiale, a seconda delle statistiche usate?

E' stato smantellato sbandierando la corruzione, che è un problema serio ma non solo nostro. I nostri sensi di colpa sono stati usati per farci accettare lo smantellamento dello Stato. Così era, così è. Il gioco è sempre eguale a se stesso (abbiamo sentito parlare di corruzione, in questi giorni?).

"Mani pulite" porta alla luce la dimensione della corruzione. E prepara il terreno alla privatizzazione delle partecipazioni statali ed alla rottamazione della classe politica dirigente che viene vista come "opportuna via d'uscita" (ostacolo al rafforzamento dell'Unione Europea). 

Vorrei proporre a questo punto una riflessione sulle informazioni che abbiamo sulla corruzione. Digitiamo su Google "indice di corruzione", cosa di cui sicuramente abbiamo sentito parlare, e troviamo su wikipedia: L'indice di Percezione della Corruzione.

Andiamo a cercare l'Italia e la troviamo qui: in Fig. 16, al 67° posto nel 2010.


Fig. 16



Con un netto peggioramento che va da destra verso sinistra (anni dal 2002 al 2010.

Vi prego, spicciamoci a privatizzare tutto. Non se ne può proprio più, di questa corruzione. Più andiamo avanti e più peggiora. E' la prima cosa che ci viene in mente

Prima, però, rileggiamo attentamente la descrizione del concetto di corruzione, ed anche il nome dell'indice. La corruzione è "l'abuso di pubblici uffici per il guadagno privato". Parla dei corrotti. Non dei corruttori. Parla dei funzionari che prendono mazzette, tangenti, bustarelle. Non parla delle cifre necessariamente più grandi che guadagna il privato - che è il corruttore - grazie all'accordo con il funzionario pubblico, che è il corrotto. I soldi (pochi) che escono dalle tasche del privato corruttore e finiscono nelle tasche private del funzionario pubblico corrotto, sono infinitamente minori di quelli - nostri e tanti, tantissimi - che escono dai bilanci pubblici e finiscono nelle tasche private del privato corruttore. Non è uno scioglilingua, purtroppo. E' una delle cause del nostro degrado, culturale, economico e sociale. Va capito bene.

Ancora, il nome dell'indice. Attenzione, questo non è l'indice della corruzione: è l'indice della "percezione" della corruzione. Non ci dice nulla di quanto siamo oggettivamente corrotti, se più o meno degli altri. Ci dice invece molto di quanto noi Italiani ci "sentiamo, ci percepiamo" un paese più corrotto degli altri. Parla della nostra autostima, dei nostri sensi di colpa. E' il risultato di un sondaggio statistico: ci chiamano al telefono (magari appena dopo uno scandalo) e ci dicono: "ma tu, pensi che il tuo stato, le tue amministrazioni, i tuoi politici, siano corrotti?" Come fai a dirgli di no. Più diciamo di si, e più l'indice diventa spietato nei confronti del nostro Stato. 
Proviamo a metterlo in relazione con il nostro sistema informativo: Tv e giornali. Chi lo controlla. Quanto è trasparente, oggettivo. Quando escono gli scandali. Perché, quando escono, le informazioni saltano fuori come funghi spuntati in una tiepida ed umida notte di settembre, e sono state li a giacere per tanto tempo. Cos'è una campagna mediatica? Se per caso ti fanno quelle domande proprio in coincidenza di una campagna mediatica tipo "mani pulite" o MPS, regione Lazio, bunga bunga etc etc.. che cavolo di risposte vuoi che diano i cittadini a quelle domande?

Siamo sicuri che le somme che negli altri paesi si spendono oggettivamente per "l'abuso di pubblici uffici per il guadagno privato" siano comparativamente inferiori a quelle che si spendono in Italia? Usiamo un altro punto di vista: siamo sicuri che le somme pubbliche spese all'estero per pagare esageratamente i privati corrotti siano minori di quelle che si spendono qui?
Prego chiunque in grado di segnalarmi dati credibili a riguardo. Non ne ho trovati (in effetti sono anche un po' stanco di navigare). Il sistema informativo dovrebbe servire a questo, o sbaglio: serve un'informazione? Eccola. Macché..
Però, se pensiamo ai controlli rigorosi, macchinosi e pesanti che prevedono i regolamenti europei, cavillosi, burocratici, e facciamo mente locale agli scandali della mucca pazza, delle mozzarelle azzurre, della carne di cavallo, che nascono tutti all'estero, fantasia per fantasia, qualche "percezione" diversa del nostro confronto con gli altri ce la vogliamo fare, o no? 

Vogliamo parlare della corruzione che dilaga a fior di miliardi di dollari ed euro nei rapporti fra Grandi Investment Bank e Governi di tutto il mondo? Può aiutare, per valutare meglio la dimensione del fenomeno, leggere questo articolo di attualità sulle recenti audizioni al Senato americano dei Regolatori Bancari (la mitica SEC), nel corso del quale la senatrice Elizabeth Warren chiede insistentemente ai vari enti preposti alla vigilanza bancaria "quando è stata l'ultima volta che hanno portato una banca di Wall Street a processo?". Nessuna risposta. Se la cavano facendo transazioni e mettendosi d'accordo comminando multe che sono sì miliardarie, ma per definizione di molto inferiori alle decine di miliardi di utili che quella corruzione produce.

Il nostro Patrimonio Pubblico è fatto di storia, di cultura, è la forma sostanziale attraverso il quale il sapere dei nostri padri viene tramandato ai figli. Il saper vivere e il saper fare. Ma anche il saper capire.  Si inizia con le aziende, poi gli immobili e si finisce con i monumenti. In Grecia vogliono vendere le isole. Non perché siano impazziti. Non hanno scelta. Per meglio dire: non sono loro a poter scegliere. Cedendo "sovranità" in cambio di soldi,finiamo per cedere la nostra dignità, immediatamente; i nostri beni materiali, poco dopo.
Come si può concepire e accettare l'idea che lo possiamo vendere, cedere, disfarcene, darlo ai privati per fare cassa, per racimolare quattro spicci che ci sembrano indispensabili, ora, per superare un problema contingente e senza capire che il problema potrebbe essere solo un pretesto per spingerci a farlo. E', oggettivamente, solo un pretesto.

Viene dai nostri padri, il Patrimonio Pubblico. E' destinato ai figli dei nostri figli

La nostra generazione non ha alcun diritto di svenderlo, distruggendo il valore forte del legame fra passato, presente e futuro che il concetto di "Patrimonio" include, sia dal punto di vista culturale, che dal punto di vista strettamente economico. Senza patrimonio comune non c'è comunità.
I nostri politici ci hanno così malamente abituato all'idea che il patrimonio pubblico è necessariamente improduttivo, fonte di costi e di malversazioni, che ci viene quasi naturale accettarne la vendita, con un sospiro di sollievo. Osserviamo il degrado di Pompei e speriamo che un privato la salvi. E' comprensibile. E' sbagliato.
Ci scordiamo di riflettere sulla circostanza che, se un privato è disposto a comprarlo, è perché ha ben chiaro il valore economico che ne può estrarre, semplicemente utilizzandolo.

E così arriviamo alla domanda centrale che ci dobbiamo porre: se un privato è in grado di estrarre un vantaggio economico da un immobile, da un'azienda di servizi, persino da un monumento, che senso "economico" può avere per lo Stato svendere quell'asset nel momento del bisogno?  

Guardiamoci nelle palle degli occhi e diciamoci le cose come stanno: di vendere il patrimonio se ne parla solo quando non si sa più dove trovare le risorse. Cioè, nel momento del bisogno. Se vendiamo nel momento del bisogno, il buon affare lo fa il compratore, non ci vuole uno scienziato a capirlo. E se l'affare è buono per il privato compratore, è un cattivo affare per lo Stato.

A questo punto, tiriamo un po' le fila del discorso. Che s'è fatto tardi. 

La percezione della corruzione, associata alla percezione dell'urgenza di liberarci del problema dei debito pubblico, sono le uniche vere ragioni che sostengono qualsiasi proposta di vendita del nostro Patrimonio Pubblico a soggetti privati. 

La privatizzazione del settore finanziario ci ha portato, tramite il lievitare dei tassi d'interesse, ad aggravare la condizione di finanziamento del debito pubblico, facendocelo apparire insostenibile. Arranchiamo a tagliare le spese e ad aumentare le entrate, ma il peso degli interessi ci schiaccia. Il fatto è che gli interessi sono irragionevolmente alti. 

Togliamoci uno sfizio. Riprendiamo il confronto lasciato al post precedente per valutare la solvibilità dello Stato Italiano con i criteri applicati a quella di una ordinaria famiglia del ceto medio che riceve un mutuo. Lo facciamo usando il parametro che qui ci interessa: quello patrimoniale. 

Lo avevamo già calcolato per la famiglia del Sig. Rossi, ed era pari a:

        Patrimonio/debito :     140.000 / 80.000 = 1,75

E' la quantità di patrimonio che si può mettere di fronte ad un debito.

Calcoliamo ora quello dello Stato. Ricordiamo che per determinare il reddito dello Stato abbiamo usato il PIL - esattamente come fanno tutti gli analisti finanziari al mondo - che è la ricchezza prodotta da tutti noi e non solo le entrate dello Stato. Analogamente, per il Patrimonio, dobbiamo sommare il valore di quello pubblico con quello delle famiglie italiane. Gli impegni dello Stato sono nostri impegni. La nostra ricchezza e solidità patrimoniale è la solidità finanziaria dello Stato. Magari questa assimilazione farà storcere il naso a qualcuno. Discutiamone. Di certo, però, quelli che hanno messo gli occhi sulle ricchezze italiane, stanno guardando con vivo interesse la somma delle due grandezze. 

Per valutare la parte relativa al Patrimonio Pubblico (proprietà dello Stato e degli enti pubblici) ci sono problemi seri. Ho navigato per siti ufficiali con scarsissima soddisfazione. Chissà che non faccia comodo a qualcuno, questa difficoltà? Curiosando, incappiamo casualmente in un interessante articolo dell'autorevole Aspen Institute Italia che, guarda caso, suggerisce di venderlo, il patrimonio. Dopo aver evidenziato, candidamente, la difficoltà di misurarlo. La difficoltà si supera, viene detto, affidando il compito ad una Newco. Come non averci pensato prima. Con il termine, rigorosamente inglese "Newco" (la lingua ufficiale della finanza) si intende una nuova (new) società (compagnia) che grazie alla magica virtù concessa dal diventare "co" ( company, società soggetta al diritto privato e quindi sottratta al controllo pubblico), perde l'incapacità di valutare che tutti sappiamo congenita alla burocrazia e a tutto ciò che è troppo pubblico e acquisisce istantaneamente la "purezza e l'efficienza dei privati".
Sai, un po' come quando prendi uno di quegli scassatissimi carrozzoni pubblici che ti portano l'acqua, la luce, il gas; li trasformi in società anonime (S.p.a.) e diventano miracolosamente efficienti.
Vuoi vedere, scava scava, che è merito della circostanza che una volta trasformate in S.p.a.,  pur mantenendo la proprietà pubblica, sono di diritto sottratte a quella rottura di scatole che è il controllo della Corte dei Conti e,  quindi, possono progredire finalmente spedite? Poi, se continuano a perdere soldi, è chiaro, le si vende direttamente ai privati. Impareranno, prima o poi..
Nel nostro caso di valutazione del Patrimonio Pubblico, l'indubbia superiore capacità è quella di meglio arrivare a definire il processo che porterà a stabilire il valore degli immobili. Quelli che poi, attraverso l'oculata selezione di altri soggetti esperti, sarà incaricata di curare la vendita  a terzi. Soggetti privati. Rigorosamente privati. Possibilmente società, perché si tratta in genere di soldi grossi, mica cosette per i singoli. Curiosando fra i soci sostenitori dell'Aspen Italia si trovano tante società (co). Private. Anche molte estere. Sarà sicuramente per questo che hanno idee efficienti.
Eccone un'altra: la due diligence (la dovuta diligenza nostrana): incarico di valutazione affidato a consulenti "esperti", internazionali e nazionali. Ma sono sempre loro... creano apposta subsidiaries (affiliate, figlie, figliastre) specializzate. "Esperte".
Conflitto, conflittone, conflittissimo di interessi. Privati ed esteri. Come viene gestito dai regolatori, quelli che fanno le leggi per difendere i nostri interessi (?). Ignorandolo. Facendo finta che una subsidiary sia una cosa diversa. (Ripassare, per favore, lo schema ABC del conflitto di interessi. Ci deve entrare nella testa).
Ci ricordano qualcosa le cartolarizzazioni "Ship 1 & 2" con la quale abbiamo svenduto una bella parte del patrimonio immobiliare? 

Dopo aver vagato invano sul sito dell'Agenzia del Demanio (che per mestiere dovrebbe fare proprio quello), sono giunto finalmente ad una traccia: sul sito della Camera dei Deputati troviamo una magnifica "indagine conoscitiva sulle tematiche relative all'utilizzo degli immobili di proprietà dello Stato da parte delle amministrazioni pubbliche" del 28 luglio 2011. Niente di preciso e riferito solo ad una speciale categoria di beni. Almeno è qualcosa: "..per le unità immobiliari il valore così calcolato oscilla tra 239 e 319 miliardi di euro, mentre per i terreni esso oscilla tra 11 e 49 miliardi di euro."
Non vale la pena perdere altro tempo alla ricerca di dati significativi per valutare altri cespiti (aziende, beni culturali, paesaggistici, il Colosseo, Gli Uffizi...) tanto il risultato è comunque in ordini di grandezza tagliati veramente con l'accetta. Se ci accontentiamo di una media molto approssimativa fra le tante stime e valutazioni disponibili in internet, una valutazione molto grossolana e sicuramente sottostimata la fissiamo in 1500 miliardi ed è accettabile ai nostri fini. Soprattutto perché, come vedremo, l'ordine di grandezza è tale che 1000 miliardi in più o in meno non cambiano la sostanza. 

Poi, magari, un giorno, iniziamo a pretendere che l'Amministrazione Pubblica esegua una valutazione "esperta" (senza chiamarla due diligence, e senza esperti privati e internazionali, perché sono i cittadini quelli che hanno il diritto/dovere di capire e di controllare), la pubblichi su internet e la tenga aggiornata. Aperta alla valutazione della società civile, e della Corte dei Conti.

Pensiamo, per un attimo, se in quel Patrimonio Pubblico ci fossero ancora tutti i cespiti svenduti nella nostra storia, più e meno recente. Le aziende dell'IRI, gli immobili venduti dopo la guerra, quelli delle cartolarizzazioni, il nostro sistema finanziario. Di cosa ci dobbiamo vergognare, se non delle persone che ci hanno convinto a svenderlo?

Per il patrimonio delle famiglie, invece, attingiamo il dato da un interessantissimo studio di Banca d'Italia la cui lettura integrale è vivamente consigliata a quanti, come Italiani, si sentono "falliti"... e di cui riportiamo integralmente i "principali risultati", incluso il confronto internazionale.


LA RICCHEZZA DELLE FAMIGLIE ITALIANE – 2010 I PRINCIPALI RISULTATI
  • Alla fine del 2010 la ricchezza lorda delle famiglie italiane era pari a circa 9.525 miliardi di euro, corrispondenti a poco meno di 400 mila euro in media per famiglia. Le attività reali rappresentavano il 62,2 per cento della ricchezza lorda, le attività finanziarie il 37,8 per cento. Le passività finanziarie, pari a 887 miliardi di euro, rappresentavano il 9,3 per cento delle attività complessive. 
  • Fra la fine del 2009 e la fine del 2010 la ricchezza netta complessiva a prezzi correnti è rimasta invariata; a prezzi costanti (utilizzando il deflatore dei consumi) si è ridotta nell’ultimo anno dell’1,5 per cento. Dalla fine del 2007, quando l’aggregato ha raggiunto il suo valore massimo, il calo è stato pari al 3,2 per cento. 
  • Alla fine del 2010, la ricchezza in abitazioni detenuta dalle famiglie italiane era stimata in circa 4.950 miliardi di euro. In termini nominali la ricchezza abitativa è aumentata dell’1 per cento rispetto alla fine del 2009 (-0,5 per cento in termini reali). 
  • L’aumento delle attività reali (1,1 per cento) è stato compensato da una diminuzione delle attività finanziarie (0,8 per cento) e da un aumento delle passività (4,2 per cento). 
  • A fine 2010 circa il 35 per cento dell’ammontare dei titoli depositati presso le banche italiane da famiglie residenti era riferito a conti titoli di valore complessivamente inferiore a 50 mila euro; i finanziamenti erogati alle famiglie di importo compreso tra 30 mila e 75 mila euro rappresentavano il 20 per cento circa del totale; quelli compresi fra 75 mila e 250 mila euro erano il 56 mentre il restante 23 per cento era ascrivibile a finanziamenti di importo superiore a 250 mila euro. 
  • Secondo stime preliminari, nel primo semestre 2011 la ricchezza netta della famiglie italiane sarebbe aumentata dello 0,4 per cento in termini nominali: l’aumento delle passività è stato più che compensato dalla crescita delle attività reali e finanziarie. 
  • Nel confronto internazionale le famiglie italiane mostrano un’elevata   ricchezza, pari, nel 2009, a 8,3 volte il reddito disponibile, contro l’8 del Regno Unito, il 7,5 della Francia, il 7 del Giappone, il 5,5 del Canada e il 4,9 degli Stati Uniti). Esse risultano inoltre relativamente poco indebitate: l’ammontare dei debiti è pari all’82 per cento del reddito disponibile (in Francia e in Germania è di circa il 100 per cento, negli Stati Uniti e in Giappone è del 130 per cento, nel Regno Unito del 170 per cento). 


Riportiamo poi il paragrafo relativo al dato che ci interessa: "Alla fine del 2010 la ricchezza netta delle famiglie italiane, cioè la somma di attività reali (abitazioni, terreni, ecc.) e di attività finanziarie (depositi, titoli, azioni, ecc.), al netto delle passività finanziarie (mutui, prestiti personali, ecc.), è risultata pari a circa 8.640 miliardi di euro".
Arrotondiamo il dato complessivo a 8.500 mld, lo sommiamo al patrimonio dello stato (1500) per arrivare a 10.000 miliardi. E' il Patrimonio che noi Italiani possiamo mettere a fronte dei debiti, come il Sig. Rossi ha messo la sua casa (140.000 euro) a fronte del mutuo (80.000 euro). La somma del debito pubblico (2000 mld) e quello privato (887 diciamo 900 mld) è pari a 2900.

Possiamo finalmente calcolare il nostro "parametro patrimoniale":

    Patrimonio/Debito  10.000 (mld)/ 2900 (mld) = 3,44

Confrontiamo ora questo rassicurante 3,44 con il misero 1,75 della nostra famiglia che sta valutando se è in grado o meno di far fronte agli impegni. Ricordiamo che quella famiglia si sente giustamente tranquilla, così come la banca che ha deciso di erogare il mutuo non perché rincretinita ma perché la situazione è oggettivamente sana e prudente. Rincretinite erano semmai quelle banche americane che hanno concesso i famosi mutui sub-prime (cioè con parametri infinitamente peggiori).. ma quello è un discorso che ci porta lontano e va affrontato con calma.

Godiamoci la nostra immagine in FIG 17


Più è alta la colonna e più è solida la situazione patrimoniale complessiva, confrontata con il debito. La famiglia (gialla) è talmente solida che il mutuo glielo hanno dato senza battere ciglio. Per lo Stato, arancione, ogni tanto storcono il naso.. (sale lo spread..).


Allora: ci dobbiamo veramente preoccupare e sentire falliti, come la televisione e i giornali e i nostri politici ci fanno sentire? 

Come "decidono di farci sentire".

E' sicuramente attraverso la disinformazione che si riesce a creare la "percezione" delle cose. Non conta il dato reale (nascosto, oscurato, distorto). Conta il dato "percepito". Lo abbiamo visto: si costruiscono indici di dati percepiti. La disinformazione fa leva sul nostro sistema limbico, arcaico, istintivo. Quello che produce reazioni prima che la sensazione giunga e venga elaborata dalla ragione, attraverso la corteccia cerebrale. Sensi di colpa e paure sono gli strumenti principali. Quelli che più profondamente e in maniera più duratura creano in noi quelle "percezioni" distorte che ci impediscono di vedere le cose come sono, e di chiamarle col loro nome. E' la manipolazione del consenso, l'arma del potere. Vigliacca, subdola.

Lo spread non è un giudizio obiettivo su un parametro sensato. E' l'arma del ricatto che viene usata per esercitare la "sovranità" dei mercati.

Suona esagerato? bene, osserviamoli in questi giorni all'opera: verrò usato per "convincere" i politici recalcitranti a diventare "responsabili". Un nuovo governo di unità nazionale, per "salvare" il paese. Responsabilità nel nome della quale continueranno ad essere fate le cose che non vogliamo che vengano fatte. Le reputiamo ingiuste ed inaccettabili. I nostri politici in campagna elettorale le hanno giudicate ingiuste e inaccettabili. Le faranno. Obbediranno al nuovo "sovrano". Non subito, siamo troppo eccitati, ora. All'inizio ci terranno magari buoni. Al momento opportuno, riprenderà il meccanismo. 

Per fortuna, in internet si moltiplicano gli sforzi di contro informazione. Ce n'è per tutti i gusti, e di tutti i tipi. Più o meno onesti. Più o meno completi. Più o meno approfonditi. Come dicevamo all'inizio, molte strade convergono. Rilassiamoci, allora. Osservando i dati che la ragione ci dice diversi da quelli che ci vogliono far apparire. La nostra ricchezza, la nostra capacità di creare ricchezza, quella vera, fatta di lavoro, di beni reali e di servizi utili, è enorme. Abbiamo una delle condizioni complessive di solidità finanziarie migliori al mondo. Siamo ricchi. Non sono io a dirlo. E' Banca d'Italia, con i suoi studi.  I dati ufficiali vanno cercati, pretesi e studiati e diffusi. Sono gli infiniti blog che spuntano come funghi per gridare che di menzogne ne abbiamo subite fin troppe. Il nostro settore privato, le famiglie e le aziende italiane sono forti e sane, nel confronto con il resto del mondo. 

Il grande capitale internazionale guarda con invidia e cupidigia alla nostra ricchezza privata e a quello che resta del Patrimonio Pubblico. Difendiamoli a oltranza.

Ultimo sforzo di onestà intellettuale. Serve a noi cittadini per capire meglio le nostre responsabilità. Lo "spread" è almeno affidabile a giudicare la credibilità dei Governi?

Facciamo così: ammettiamo per un attimo che sia vero. facciamo finta che non esistano le manipolazioni dei prezzi; delle informazioni; dei mercati finanziari. Dimentichiamo quanto detto a proposito della corruzione reale e della corruzione percepita. Qualcuno mi spiega come sia possibile concepire l'idea che il giudizio sull'operato della politica debba essere rimesso ai mercati finanziari e non ai cittadini?

O ci assumiamo le nostre responsabilità, e impariamo a giudicare la credibilità dei nostri politici con criteri oggettivi, o siamo condannati alla schiavitù: quella dei mercati finanziari. Questa classe politica e i mercati finanziari sono strettamente collegati.


Facciamo un piccolo, ultimo inciso prima di chiudere il paragrafo: un po' tecnico; un po' lungo; un po' storico, politico, sociologico. Perfino ecologico. Concentriamoci su questi argomenti: Debito/PIL, mercati e politica.

Aspetto tecnico. Il rapporto Debito / PIL si fa con due fattori, uno sopra ed uno sotto. Sopra c'è il Debito Pubblico che continua a salire, sempre, inesorabilmente. Più o meno velocemente ma sale solo, lo abbiamo visto. Più sale il debito e più sale il rapporto. Sotto c'è il PIL, cha va su e giù, di anno in anno. Rappresenta, lo ricordiamo, la somma della spesa che si fa in un anno in uno Stato. E' così formato: spesa pubblica + spesa privata per consumi o investimenti, + il saldo della spesa estera meno quella verso l'estero. Torniamo al rapporto: se il PIL sale, il rapporto scende (migliora). Quando scende il PIL, il rapporto sale (peggiora). Capito questo meccanismo, ci rendiamo conto che c'è qualcosa di intrinsecamente sbagliato nel rapporto. Qui non è questione solo dell'Italia. L'osservazione empirica ci dice che i debiti pubblici in tutti gli stati del mondo hanno un trend di crescita che tende all'infinito (crescono sempre). Debiti pubblici in discesa si vedono - salvo rarissime e momentanee eccezioni - solamente nelle storie di Default, totale o parziale. Se il debito sale solo, solo la salita perpetua del PIL può garantire il mantenimento del rapporto debito/PIL ad un determinato livello. Quale che esso sia, esso livello. Se non è chiaro il meccanismo, per cortesia, tornate a rileggere l'aspetto tecnico, ma domandate, contestate, aiutate anche me a vedere più chiaramente. Dobbiamo averlo ben presente, altrimenti è inutile andare avanti.

Aspetto storico politico sociologico. Abbiamo visto nel 1992 gli accordi di Maastricht che preparano l'arrivo dell'Euro e fissano i Parametri. Mi viene da dire: che senso ha lo stupido irrilevante stupidissimo numero che c'è scritto dentro il perverso dannoso diabolico rapporto debito/PIL?  Così non va bene. La rabbia confonde le idee. Invece, è importante essere lucidi, ora. Pausa di riflessione.

Osserviamo il numero fissato a parametro, ed il senso del parametro stesso. Visto che lo abbiamo eletto a nostra "guida", cerchiamo di capire meglio, in profondità, dietro le apparenze, quali conseguenze comporta il seguirlo; come è possibile gestirlo. A quali costi.
Mi sembra sempre più evidente che il problema sia senza soluzione. Intanto, esisterebbe anche se a Maastricht avessimo fissato il livello non al 60%, ma al 220%. Non è un numero a caso: è l'attuale debito/PIL del Giappone che non lo ha scelto; e neppure ha deciso di immolare la sua economia su quella croce. Eppure vive più rilassato di noi. Non ha ceduto la sua posizione da Re; anzi, ha l'Imperatore, a scanso di equivoci. Non ne vuole sapere di avanzi primari, né secondari e neppure terziari: la nuova ricetta economica del primo ministro Abe, l'Abenomics, prevede di spendere altre montagne di soldi pubblici con il preciso scopo di far salire l'inflazione. Si sa: non capiscono nulla di economia. vediamo noi altri, che abbiamo deciso di soggiacere alla volontà del dio Parametro. Possiamo scegliere, a seconda dei casi, se rimanere in padella o saltare direttamente nella brace. 

Possiamo accettare continui sacrifici di sangue per contenere e ripagare il debito (tenere basso il numeratore del rapporto): vendendo il Patrimonio Pubblico; aumentando le tasse; rinunciando allo stato sociale; rendendo più facili i licenziamenti e privatizzando i servizi.  E' quello che ci impone il Fiscal Compact (scritto nella Costituzione della repubblica). L'insieme di queste proposte viene chiamato, ormai affettuosamente: l'agenda Monti. Ma ci possiamo riferire alle stesse anche con il nome generico di  "riforme strutturali".  Come sia possibile riuscire a farlo, senza fare contemporaneamente scendere il PIL, i manuali di macroeconomia non lo dicono. Possiamo affidarci alla mano invisibile..

In alternativa, ci dedichiamo anche noi all'arte della spesa crescente (facendo salire il denominatore del rapporto, il PIL), nel tentativo di superare gli altri Stati che si sforzano, come noi, di far crescere la spesa più velocemente del debito e, soprattutto, più velocemente di noi. E' la competizione, bellezza. Scusate l'espressione: ma dove cavolo andiamo correndo, come scemi, tutti quanti? Quanto siamo fessi: il consumismo. Scusate, ma me lo sono bevuto anche io... mi ci rode. 

Deve essere stata veramente una mente diabolica ad aver concepito un marchingegno siffatto. Come ti giri, ti giri male. 

Storia: assieme alla imprevista caduta del muro di Berlino, cadono gli ideali del comunismo. E' un bene perché tutti gli "ismi" sono perversi. Inizia anche a cadere, però, in apparente casuale coincidenza e in maniera abbastanza sincrona in tutto il mondo occidentale, il potere contrattuale dei lavoratori dipendenti. Assieme al potere d'acquisto delle famiglie, ed al rispetto per lo Stato. Stato sociale in testa. Non è casuale che la quota di ricchezza spettante alla classe media si vada assottigliando. Torniamo alla nostra coppa di Champagne e osserviamo. Il terzo centile, quello giallino, con un po' del secondo e del quarto, sono la classe media: si assottiglia, è evidente.

Il guaio è che il capitalismo non si accontenta di vincere. Vuole stravincere. Diventa "turbocapitalismo", "finanzcapitalismo", "corporatismo" E, studia che ti ristudia, trova un meccanismo estasiante: come non averci pensato prima? 

Ecco la ricetta miracolosa

Prendi la Competitività e la Globalizzazione. Le rendi un po' "sacre", come se fossero il "verbo" della religione neoliberista dei mercati, in cui le Grandi Investment Bank sono gli dei e le Corporation (multinazionali) sono gli dei minori. Si vedono poco, ma agiscono dietro le nubi. Sono intoccabili e, fino ad un certo livello, immortali. Come si fa a rendere sacri e indiscutibili nella nostra testa concetti come "competizione e globalizzazione", quando noi vorremmo starcene tranquilli a goderci il paesello, collaborando col vicino? Attraverso studi e pubblicazioni delle Università private (Chicago, Bocconi, etc etc) dove ci sono i "sacerdoti" e tanti catechisti fedelissimi che ti mettono in testa una serie di idee che, lentamente, tendono a diventare "dogmi". Non si devono dimostrare (non è possibile); non possono essere messi in discussione (pena la scomunica dagli ambienti accademico/politici). Quali sono? Eccoli. Privato è bello. Pubblico è brutto e corrotto. Lo Stato deve stare fuori dall'economia, sempre; perché? perché si, sai.. la mano invisibile. Se i ricchi non pagano le tasse hanno più soldi da investire, cresce l'economia e tutti vissero felici e contenti. Attirare capitali dall'estero è cosa buona e giusta. Diventare competitivi rende più forti. Bisogna fare le riforme strutturali (quali? zitto, che disturbi). Le merci devono circolare liberamente le persone no. Il lavoro è poco produttivo, deve sforzarsi di più, o accettare di meno. Dobbiamo diventare più produttivi, più competitivi. Apoteosi: se il capitale è libero di muoversi, la mano invisibile lo porta nel posto migliore possibile. Indubitabilmente vero, soprattutto per chi lo predica. Si vede abbastanza bene, nel calice a coppa di Champagne, dove è andato a finire. E quello che non si vede (il percorso per arrivare all'1%, si inizia ad immaginare sempre più chiaramente). 

Secondo ingrediente: la liberalizzazione finanziaria. Nel sistema bancario le due funzioni del credito commerciale e delle attività finanziarie si confondono sempre più, negli stessi soggetti. Le banche diventano private, grandi. Sempre più grandi. E potenti, intoccabili. Si trasformano nel sistema dove la ricchezza reale diventa sempre meno importante, mentre la ricchezza di carta sposta le cose ed il potere nelle tasche dei furbi. (approfondimento nel Capitolo II). Avanti, non è finita. I dogmi vanno diffusi. 

Nuovo ingrediente: i Think Tank (serbatoi di pensiero), le "Fondazioni", oh meraviglia! La "fondazione" è un mostro del diritto in cui il capitale diventa "soggetto" per l'ordinamento giuridico. Il capitale si vede; le persone un po' meno. In realtà anche il capitale si vede poco e, soprattutto, gli scopi e le attività restano assai confusi, opachi. Per farcela ingoiare, questa delle fondazioni, ne hanno fatte tante di fondazioni a scopo benefico, caritatevole, (che carini:)). E' la prima cosa che ci viene in mente, giusto? quando ci domandiamo: ma cos'è una fondazione? Fanno beneficenza! Come agiscono, le Fondazioni serbatoi di pensiero e di capitali? Da una parte fanno in modo che nelle Università che contano ci vadano ad insegnare ed a studiare persone con le idee ben chiare sul da farsi e, soprattutto, sul da dirsi. Dall'altro prendono studi e pubblicazioni e li diffondono nel mondo politico, giornalistico, accademico. Poi fanno in modo che nelle Istituzioni che contano, ci vadano a finire persone con le idee ben chiare sul da farsi. I partiti politici in Italia si finanziano attraverso le fondazioni (oltre ai rimborsi elettorali). Anche lì, nei partiti politici, ci vogliono poche persone con le idee ben chiare; e poi tanti servitori che più sono poco intelligenti e meglio è (non fanno domande).

Compito importantissimo, prima di infornare, si aggiunge l'ultimo ingrediente: formare ed informare, attraverso il sistema mediatico ufficiale. Quello privato oppure quello pubblico controllato tramite gli amici che le Fondazioni ti aiutano a trovare. Dove non arrivano le Fondazioni si usano direttamente le logge deviate (P2, P3..) Ricordiamo? Cerchiamo di non dimenticare, per favore. 

Ed ecco la ciliegina, quando tutto è pronto. Le televisioni trionfanti di tutto il mondo annunciano il parametro di Maastricht: Il rapporto debito/PIL, che come ti muovi ti fai male, mentre gli dei fanno profitti. 

Ed il piatto è servito. 

Vediamo, ora, cosa avviene al metabolismo delle società che decidono di assaporare  la pietanza. 

Chi accetta di soggiacere al consumismo e lascia fare tanti soldi ai privati, se la cava. Usa, GB, mondo anglosassone e nordico. Le Corporation, le società anonime, le S.p.a. crescono. E si concentrano. Si combattono anche; a volte fanno finta a volte sul serio: anche gli dei litigano, soprattutto i minori: i Greci ce lo hanno insegnato chiaramente. Grazie alla competizione ed alla globalizzazione, continuano a concentrarsi, e a crescere, in dimensione e potere. Qualcuna cade ma non sparisce: viene assorbita. Il suo corpo, è il corpo di un dio minore: contribuisce preziosamente al processo lento ed inevitabile di concentrazione del capitale, e del potere. Nei paesi in cui tutto ciò è consentito dalla cultura dominante (per storia, religione, tradizione o perfino imposizione, non fa differenza), cresce il PIL. Alti e bassi ma cresce. Einstein e la competizione ci ricordano che tutto è relativo: basta crescere un pochino più degli altri. Anche il debito cresce, ma il rapporto debito/pil si barcamena, soprattutto perché i tassi sul debito restano bassi. Gli dei, quelli maggiori, che controllano i mercati finanziari, sono magnanimi. Intanto il debito cresce e, con esso, la dipendenza. Sono pazienti. E' un circolo vizioso e meccanico: il consumismo porta con se la sensazione diffusa e brillante della possibilità di una continua crescita. Il sistema finanziario, che è diventato o completamente privato o sostanzialmente autonomo dal potere politico e democratico fa il suo dovere: come una droga, fa crescere la dimensione del debito. 

Nei paesi dove il consumismo non viene proprio spontaneo e incontra delle resistenze culturali, per non dire etiche, o politiche, le cose vanno peggio. La pietanza  diventa via via più pesante, quanto maggiore è la resistenza a lasciar fare alle Corporation ed agli dei dei mercati. Nei paesi ex in via di sviluppo, oggi molto sviluppati, questa cosa l'hanno capita bene. Almeno le classi dirigenti che, con o senza democrazia, la impongono: produzione prima e consumismo poi, a tutto spiano. In quei paesi hanno avuto per tanto tempo risorse soprattutto umane sotto utilizzate. Ora le hanno messe in riga davanti al carretto e dietro la carota, e tirano che è una bellezza. Stanno iniziando a fargliela assaggiare, assieme a qualche altro prezioso bene di consumo, come la Coca Cola che viene venduta nei remoti villaggi dell'hinterland indiano. Corrono di più.

Noi tutti, tanti, corriamo. Sempre più affannosamente. In tutto il mondo, in un modo o nell'atro. Pochi continuano ad accentrare profitti, ricchezza, potere.
Corriamo. E più corriamo e meno ci rendiamo conto. Mi voglio fermare. Qualcuno, per favore, si vuole fermare anche lui?

Introduciamo l'aspetto ecologico. Il consumismo, in una umanità che va verso i 9 miliardi di esseri - consumanti e che vogliono gareggiare a chi consuma di più - tende inesorabilmente e stupidamente a distruggere gli equilibri ecologici del pianeta. Non è solo il petrolio che se non inizia a scarseggiare deve comunque essere cercato ed estratto con metodi via via più costosi e faticosi. E' lunga la serie di minerali e di metalli in via di rapido esaurimento. Il terreno agricolo muore, quello fertile si riduce, assieme alle foreste. E' avvelenato da concimi di sintesi e pesticidi che sotto la spinta della competizione provano in una corsa senza speranza ad estrarre dal suolo più di quello che può dare. Lo fanno con metodi sempre più lontani dall'idea di "vita" che conosciamo. E' una follia di pochi che ci ha incastrati in tanti. Il male della chimica nell'agroalimentare si trasferisce: dalla voglia insana di fare profitti delle grandi aziende multinazionali; alla insalubrità dei cibi che mangiamo (e che il nostro organismo, abituato per decine di migliaia di anni a mangiare cose diverse, non conosce, non capisce, reagisce male, si ammala). Le falde acquifere si avvelenano. Per lo stesso motivo: concimi chimici e pesticidi. Aggravato dalla circostanza che oltre il 30 per cento del cibo prodotto finisce nelle discariche, mescolato ad ogni sorta di veleni. Il percolato percola, anche per la gestione malavitosa delle discariche, ed avvelena l'acqua. Quando togliamo i rifiuti dalle discariche per metterli negli inceneritori compiamo la trasformazione alla quale siamo ormai avvezzi. IL problema diventa talmente invisibile che possiamo sperare di non vederlo. In TV non se ne parla ma le nanoparticelle che si diffondono nell'aria che respiriamo, anche a decine di chilometri di distanza, trascinate dai venti e riportate giù dalle piogge acide, uccidono. Indipendentemente dalla nostra capacità di "percepire": particelle e gravità del problema.

E pensare che potremmo vivere infinitamente meglio con molto meno: in pace ed armonia, senza competere stupidamente correndo dietro ad una carota irraggiungibile

Voglio rassicurare tutti coloro che, come me, sono innamorati della natura e rispettano la Terra, Santa Madre Terra, e l'universo intero: stiamo tranquilli. Non è la sostenibilità ambientale, ad essere in pericolo. Bensì, solo la nostra. Quando non ne potrà più di noi, con uno sbuffo un filino più grande del solito, Madre Terra si libererà di noi, con un immenso atto d'amore. E inizierà di nuovo a respirare. Non credo l'Universo ne risentirà.








Possiamo concludere il paragrafo 1, iniziato con la domanda se siamo noi che dobbiamo meritarci la fiducia dei mercati finanziari o se non sia giunto il momento di dire a chiare lettere che è piuttosto vero il contrario: siamo noi a dover confermare la nostra fiducia ai mercati finanziari. Vogliamo studiarli, capirli, conoscere, comprendere e, se non ci convincono, disciplinarli, imbrigliarli. Perché no: eliminarli.


Si può fare. Si deve fare.

Dobbiamo prima dotarci, però, di altri strumenti di conoscenza, andando a valutare un altro paio di quei dogmi che non devono essere dimostrati e non possono essere contraddetti ..