ISTRUZIONI PER L'USO

IL TALLONE D'ACHILLE è pensato per scrivere libri, direttamente su questo blog. Qui comincia l'Eredità di Michele, l'ultimo scritto. Il precedente è stato interrotto, si vede che doveva maturare. Qui trovate IL primo LIBRO, col suo indice ed i post che lo compongono.
I "libri" raccolgono commenti, critiche e suggerimenti di chiunque voglia partecipare con spirito costruttivo. Continuano un percorso iniziato con le Note scritte su Facebook , i cui contenuti sono ora maturati ed elaborati in una visione d'insieme, arricchiti da molti anni di esperienze diverse e confronti con persone diverse.

I Post seguono quindi un percorso logico che è bene conoscere, se si vuole ripercorrere il "discorso" complessivo. Naturalmente è possibile leggere singoli argomenti ai quali si è interessati. Argomenti spot - che spesso possono nascere dall'esigenza di commentare una notizia - saranno trattati in pagine dedicate.

Buona partecipazione!


mercoledì 29 marzo 2017

Capitolo IV - Competere / Collaborare


link a Capitolo III              



Le parole sono segni e i segni creano la nostra realtà. Le parole sono incantesimi.

Facciamo un esempio.

Voglio comunicarti un’idea che, ne sono assolutamente convinto, ti piacerà; ti conosco da tempo e so che certi valori che stanno dietro questa mia idea, li condividiamo. Però, purtroppo, mi capita di usare i segni sbagliati, parole e concetti che suscitano in te reazioni negative, contrarie a quelle che immaginavo. Di fatto, anche se resta vero che certi valori li condividiamo, non riesco proprio neppure a fartela “vedere” quella idea, figurati se la potrai mai condividere!  Se non me ne rendo conto, che sto usando segni sbagliati - sbagliati non in senso assoluto, ma nella relazione fra me e te, qui ed ora - finisco per continuare ad usarli, più o meno nello stesso modo. Così, anche se assolutamente non volevo, ti passo la sensazione sgradevolissima che sto cercando di importela con qualche forma di violenza, quella maledetta idea. E tu, giustamente, mentre ti incazzi e mi mandi a quel paese,  ti ritrovi a voler difendere la Tua idea, costi quel che costi, perfino al di la delle tue profonde convinzioni.  

Non so se vi è mai capitato. A me in continuazione, da una parte e dall’altra.


Qualcuno, fra quelli che lo sanno, potrebbe usare questa sapienza per fregarci, usandola esattamente al contrario. Riuscendo con dolcezza e fascino a farci credere che certe idee e proposte siano fatte nel nostro interesse, mentre tutelano esattamente il suo, di interesse.

Lo vediamo in un altro esempio pratico.

Un’idea ci piace, la condividiamo, la facciamo nostra.  Per esempio: ci piace l’idea di essere migliori e, ancora di più, l’idea di diventare migliori. “Essere migliori” è  un giudizio positivo : essere migliori “è bene”, “non è male”.

Siccome migliore è più di buono, il giudizio è molto positivo. Tutti noi abbiamo bisogno di stare in pace con la nostra coscienza: vogliamo che la nostra coscienza ci giudichi bene. Sentirci migliori ci fa stare bene. Ok.


L’idea di “diventare migliori”, poi, aggiunge un giudizio positivo anche sullo sforzo, sicuramente necessario, per crescere, migliorare, diventare … ancora di più. Se state facendo fatica a seguire questo ragionamento, ma ritenete in qualche modo che, seguendolo, potrete trovarvi un qualche giovamento, un piccolo arricchimento, una infinitesima crescita, un modesto suggerimento, accettate di buon grado lo sforzo necessario a seguirlo.  Perché ci viene facile accettare di buon animo il sacrificio che dobbiamo fare, se vogliamo sentirci migliori. Se poi ci sta a cuore quello che gli altri pensano di noi, e immaginiamo che gli altri ci giudicheranno bene se vedranno i nostri sforzi per diventare migliori, allora riusciremo perfino a vergognarci di non desiderarlo a sufficienza o di non accettare con sufficiente entusiasmo i sacrifici necessari.  Ok.

Le idee, dentro ognuno di noi, si arricchiscono di tutte le infinite esperienze personali e delle successive elaborazioni.  Evolvono, si modificano.  La mia idea di “migliore” è sicuramente diversa, per sfumature più o meno grandi e importanti, da quella di chiunque altro stia leggendo, qui ed ora. Ma è anche diversa da quella stessa mia idea di “migliore” che avevo ieri, prima di altre esperienze.  

Però un certo nucleo in comune, lo hanno tutte.


Quando comunichiamo fra di noi, non essendo ancora capaci di entrare in sintonia, di “capirci profondamente” con un semplice sguardo, se non in rare occasioni, trasformiamo allora le nostre idee (ricchissime di mille sfumature) in segni, apparentemente poveri segni  (parole o scritti o messaggi lanciati in qualsiasi maniera) che hanno il compito di rappresentare, spesso molto indegnamente, le nostre idee. La stessa parola, pronunciata in un modo o in un altro, dentro una frase o in un’altra, assume  significati diversi.  Eppure, funziona : normalmente comunichiamo... almeno i concetti semplici... e seppur con difficoltà.

Accostare le parole è potente.

Mettiamo le parole una vicina all’altra, per meglio specificarne il significato. Le inseriamo in frasi, arricchiamo le frasi con esempi, ricordi comuni, insomma forniamo quanti più elementi possibile per fare in modo che l’idea che arriva al destinatario contenga il maggior numero di cose in comune con l’idea dentro la nostra testa.

Ad esempio : competere ci rende migliori. E’ vero? La risposta immediata è si, sicuramente si. Magari non abbiamo mai avuto tempo e voglia di prestare attenzione al significato profondo della parola competere e, soprattutto, alle conseguenze che comporta nelle nostre scelte. Pensiamo - o meglio, accostiamo istintivamente il termine competizione - alle esperienze condivise da bambini: a chi arriva prima fino al palo, laggiù. Alla scuola: se studi, con sacrificio, diventi migliore. Se sei intelligente e ti applichi, puoi diventare “il migliore”. Allo sport, alle gare, alle partite di pallone; dove, con un buon allenamento, si diventa mano a mano migliori, si vince, si arriva primi. Ad una competizione olimpica, la medaglia d’oro appuntata sul petto di chi è arrivato primo, sotto i riflettori di mezzo mondo, ci farebbe sentire come dei dell’Olimpo. Nel lavoro, poi, siamo tutti convinti che sia fondamentale per tutti mettere le persone migliori nei posti importanti. E come le possiamo mai selezionare se non attraverso metodi competitivi e meritocratici? Infine pensiamo tutti, più o meno consapevolmente, a Darwin, a quel poco del suo pensiero che ci ricordiamo dalla scuola. Non ci ha forse dimostrato, con la forza del pensiero scientifico, che (non so se è vero, non so se lo voleva ma, intanto, tutti noi pensiamo quasi istintivamente che sia così), dicevamo,  competere seleziona i migliori “naturalmente” ? Che vuoi di più! 

Tutti i personaggi più autorevoli della nostra vita, da quando eravamo bambini, e fino all’età matura, ci hanno sempre detto (e giudicato): arriva primo, e sarai il migliore. Ok.


Oggi, poi, il concetto viene accostato perfino all’anzianità ed alla vecchiaia: se vogliamo diventare migliori, dobbiamo diventare più competitivi, e … lavorare più intensamente e più a lungo … e … rinunciare alla pensione (almeno a buona parte della pensione) e rinunciare alla sovranità.  Oh, oh, sorpresa: qui non ci piace più. Non è più Ok.

Dai che c’entra ! Non scherzare.

No, no, siamo proprio seri. E’ esattamente quello che succede, ed esattamente per quei meccanismi, ed altri più o meno simili. Io sono saltato direttamente alla conclusione del lungo processo, per sottolineare ed evidenziare come da un giudizio altamente positivo su una idea che alberga nel nostro inconscio, siamo passati ad uno diverso, se non proprio opposto. Sulla stessa idea : competere. Associata alla stessa idea: essere e diventare migliori. Le Riforme Strutturali (dal taglio alle pensioni alla cessione di sovranità) non servono forse a farci diventare più competitivi, e quindi migliori?

Torniamo allora a completare i passaggi, affinché i meccanismi siano un po’ più chiari.


Nelle frasi precedenti c’è un grande assente. Come si dice: un convitato di pietra. C’è, è ingombrante, ma nessuno ci fa caso. E’ il premio.

Fra le frasi precedenti c’è una parola, un segno: meritocrazia. Non so quanti l’abbiano notata. Quanti ne conoscano profondamente il significato e profondamente lo apprezzino. Però, ciononostante, sono pronto a scommettere: almeno 9 su dieci la vogliono. Ci piace la meritocrazia. Anzi, ne sentiamo la mancanza, nella nostra società. Disgustati dai parassiti e dai raccomandati che non solo rubano lo stipendio ma ci danno in cambio un servizio scadente, spesso vergognosamente scadente; offesi nel profondo della nostra esperienza personale del collega che non capisce un cavolo ma ci passa avanti perché … eh, lo so io il perché! Tutti, vogliamo più meritocrazia. Ok. Ma cos’è ? Qui, forse, siamo un pochino confusi.



Meritocrazia = Dare il Potere a chi lo merita.

Il … Potere? Sì: cratos (merito-crazia), potere, potenza, violenza. Se hai merito, il tuo premio è il Potere.E, naturalmente, insieme al potere, arrivano i soldi. Più te lo meriti, più ricchi saranno i premi. E più potere. E più soldi. E’ ancora OK ? Forse, ma con qualche dubbio.

Cos’è il Potere? La forza di imporre le proprie decisioni ad altri. Volenti o nolenti. Il potere è, letteralmente e materialmente, ci piaccia o non ci piaccia, violenza (uso della forza). Questo è il potere. Null’altro. Perché facciamo finta di niente? Perché ci sforziamo di immaginare che il Potere possa essere qualcosa di diverso? Messo nella società, questo concetto, che è sporco, irrimediabilmente sporco, viene invece, in qualche modo, “benedetto”. Lavaggio millenario dei cervelli e delle coscienze.

Sempre Ok ? Mmm…  un po’ meno ok.

Ricapitolando: Cosa sono i premi per i migliori nella nostra società competitiva? Nel caso concreto si tratta di Soldi. La società competitiva premia con i soldi (e il potere … perché, in fondo, quando sono tanti, soldi e potere sono la stessa cosa). Mmmmmm…  molto meno ok. Premiare con una medaglia il vincitore di una gara olimpica; premiare con un applauso il più bravo in un gioco improvvisato, non è la stessa cosa di chi viene premiato con potere e denaro, solo perché è arrivato primo. Anche perché – ATTENZIONE, ATTENZIONE - dobbiamo capire molto meglio cosa voglia dire essere “migliori” in un contesto competitivo che non è più una innocente corsa di bambini fino al palo, ma ci sono in ballo soldi e potere.  Tanti soldi e tanto potere.

Proprio sicuri che siano “migliori” quelli che sgomitano per arrivare in cima?



Io ho il fondato (ok, presuntuoso, me lo dico da solo) sospetto che molte fra le persone che, arrivati a questo punto, non colgono la differenza, siano in qualche modo potentemente attratte (e, forse, confuse) da soldi e potere. In teoria, posso sbagliare.



Io ho il fondato sospetto che ad arrivare ai primi posti, nella competizione mondiale, non siano affatto i migliori, ma solo i più cinici. Quando parliamo di grandi organizzazioni, poi, necessariamente ed inevitabilmente, solo i più cinici possono arrivare in alto. Nel capitolo su economia  e finanza entreremo più approfonditamente nei meccanismi che consegnano alle grandi società di capitali una “personalità”, una propria vita, una propria volontà, tanto più indipendente dagli uomini che ci lavorano e che credono di dirigerla, quanto maggiore è il capitale (la Potenza, il cratos) che si è accumulato. Un proprio fine (scopo), più potente di tutti gli altri fini dei singoli individui che la compongono.  Intanto, qui possiamo dire solo che ho osservato da vicino come operino certi meccanismi di selezione nei diversi contesti organizzativi.  Più soldi e potere ci sono lassù, e più i meccanismi diventano inesorabili. Se sei funzionale agli interessi di chi sta in cima, quello ti tira su e lo fa volentieri. Fa carte false per tirarti su. Se sei bravo a fare le cose, produrre risultati, risolvere problemi, ma hai la faccia tosta di dire quello che pensi nel contesto sbagliato, più di tanto, su non ci vai. Oh sì, prendi la tua bella fetta di riconoscimenti, ma stai ben lontano dai posti in cui si prendono certe decisioni. Meglio che non sai. Se poi per carattere o cultura non sei disposto a chiudere gli occhi e tacere, quando per l’organizzazione è vitale il silenzio, allora l’organizzazione ha un interesse oggettivo a metterti fuori.



Proviamo ora a vedere le stesse cose di cui abbiamo parlato fino ad ora, da un altro punto di vista. Quello dei peggiori. 

Eh sì, perché se qualcuno è migliore, qualcun altro deve, necessariamente, essere “peggiore”.

In una corsa (fra dieci o mille individui) UNO arriva primo. Notiamo il secondo essenzialmente perché  ha lottato per arrivare primo ma non ce l’ha fatta. Forse, il terzo che salirà sul podio ma, dentro di noi, già gli attribuiamo inconsapevolmente poco “valore”. Tutti gli altri … si confondono e spariscono dalla nostra attenzione.  Siamo stati educati a vedere così le cose.

Proviamo a “vederli”, uno per uno, quelli che sono rimasti indietro. Cerchiamo di capire chi sono, come si sono allenati, chi li ha allenati, cosa mangiano, come vivono, da dove vengono, perché corrono se non sono buoni? Ma dai … chissenefrega. La società corre, e se ci giriamo a guardare indietro, non arriveremo mai primi. 

“Ma ve le immaginate tutte le trasmissioni sportive che, invece di concentrare la loro attenzione sui primi, iniziassero a dedicare tutta la loro attenzione agli ultimi? Una follia. Inconcepibile. Le grandi aziende che sponsorizzano gli ultimi; titoloni di giornali a caratteri cubitali : “E’ MISTER NESSUNO CHE E’ ARRIVATO ULTIMO”; i paparazzi che scavano nella vita privata degli ultimi; folle di fans che vogliono gli autografi degli ultimi; trasmissioni televisive che intervistano gli ultimi. Esperti a confronto,  per discutere come e perché mister nessuno è il “peggiore”, cosa si potrebbe fare per migliorare le sue performance (e la sua vita), con il ministro per le attività sportive, ospite d’onore, che si impegna a intervenire prontamente. E nessuno che si fila i “primi”. Tradimento. 

Stesso (identico) esempio nel mondo del lavoro, dove, grazie alla competizione, alla meritocrazia, alla selezione che premia con soldi e potere i primi, cresce l’esercito degli ultimi.

“Ma ve le immaginate tutte le trasmissioni economiche che, invece di concentrare la loro attenzione sui manager, iniziassero a dedicare tutta la loro attenzione agli uscieri e ai facchini? Una follia. Inconcepibile. Le grandi aziende che sponsorizzano gli uscieri; titoloni di giornali a caratteri cubitali : “MISTER NESSUNO E’ IL NUOVO FACCHINO DELLA APPLE”; i paparazzi che scavano nella vita privata degli ultimi; folle di fans che vogliono gli autografi dell’usciere; trasmissioni televisive che intervistano gli ultimi. Esperti a confronto,  per discutere come e perché mister nessuno è il “peggiore”, cosa si potrebbe fare per migliorare le sue performance (e la sua vita), con il ministro per le attività economiche, ospite d’onore, che si impegna a intervenire prontamente. E nessuno che si fila i manager. … Tradimento??” 

Arrivare primi comporta la necessità di lasciare indietro gli altri. Noi, che per essere felici abbiamo un gran bisogno di non essere soli, ci sforziamo, letteralmente, di lasciare indietro gli altri. Possiamo essere “migliori” e quindi premiati con soldi e Potere, solo ed esclusivamente se lasciamo indietro gli altri. Se rimaniamo soli.

Questo è quello che io chiamo un “meccanismo” : se accettiamo una idea, se lasciamo che entri dentro di noi senza averla compresa fino in fondo, senza aver capito quali possano essere le conseguenze;  se la accettiamo e la riconosciamo come fondamento della nostra convivenza civile, perché ci è stata presentata come cosa buona e giusta e noi l’abbiamo realmente “vista” come buona e giusta; allora le cose andranno automaticamente in un certa direzione; non possono andare in un’altra direzione. E questo accade, inesorabilmente, anche se l’idea continua a sembrarci giusta, mentre le conseguenze della direzione intrapresa ci sembrano una follia inaccettabile.

“Dobbiamo riconsiderare e rimuovere l’idea, se vogliamo cambiare direzione.”

(rileggere dieci volte)

Le parole sono segni. E i segni creano la nostra realtà. Le parole ci intrappolano dentro potenti incantesimi.



Nella società competitiva, diventano prime solo le persone disposte a lasciare indietro tutte le altre. Queste persone non sono le migliori. Gli avidi, gli egoisti, i cinici, le persone dure di cuore si sentono “premiate” e attratte da soldi e potere. Quelli sensibili no. Non sanno che farsene di soldi  e potere, ma noi li emarginiamo. E mano a mano che aumenta il livello nella “scala sociale”, questo diventa sempre più vero e sempre più meccanico. 

Attento : concentrati : Una volta che abbiamo consegnato il Potere a questo tipo di persone, sono loro la classe dirigente che ci dirigerà, e andremo inevitabilmente in una direzione che non ci piace, e ci piacerà sempre di meno.


(rileggere tre volte)

Se non capiamo che competere vuol dire selezionare i duri di cuore;


se non capiamo che la meritocrazia non mette le persone giuste al posto giusto, ma dà potere a chi arriva primo sgomitando;


se non capiamo che il potere di qualcuno è la privazione della dignità e della libertà di molti;


se non capiamo che le ricchezze che si accumulano per pochi, sono sottratte a tutti gli altri;


se non capiamo che se uno solo più vincere, tutti gli altri devono perdere;


se non capiamo che premiare con i soldi e potere non è altro che un modo per escludere dai posti importanti le persone troppo oneste e troppo sensibili;

siccome sottovalutiamo il potere dei segni


allora ci capita, inconsciamente, meccanicamente, di ritenere “giusto” che per diventare più competitivi (quindi migliori) sia necessario chiedere agli esseri umani di lavorare di più, agli anziani di lavorare più a lungo, ai vecchi di accontentarsi di poco … e così via, fino a berci la bellezza “salvifica” di tutte le Riforme Strutturali che ci chiedono, in buona sostanza, di cedere sovranità, rinunciando definitivamente alla nostra naturale e sacrosanta aspirazione ad una esistenza libera e dignitosa. 

Quelle riforme che ci renderanno, volenti o nolenti, più competitivi. Meno solidali.

Eccolo, il ronzio … sempre più forte, mi sembra di sentirlo : 

“…  si, ma io, nei posti importanti, ci voglio quelli bravi ! Mica mi voglio fare operare da un incompetente  qualunque. Con questo buonismo, per forza ci ritroviamo i fancazzisti che rubano lo stipendio … etc.,  etc.,  etc.  “

Attenzione : c’è una parola magica da estrarre da quel ronzio : “incompetente”. Tutti noi, senza dubbio, vogliamo che le persone che rivestono responsabilità di rilievo siano preparate, professionali, serie, insomma :  “competenti”. Contrario di “incompetente”. Che, guarda, guarda, ci ricorda la competizione. Lo vedi, Guido che c’entra eccome la competizione con la selezione dei migliori (delle persone competenti)?

Questo passaggio è importante: soffermiamoci a scandagliarlo fino in fondo.  Insomma, una persona competente, è una persona che compete (sgomita per arrivare a ricevere un premio in soldi e potere), oppure una persona preparata, capace di svolgere correttamente e responsabilmente il compito che la società gli affida?

Sono due cose diverse, anzi: profondamente lontane, ma usiamo uno stesso nome, uno stesso “segno”. La confusione è inevitabile.

Inoltre, la confusione non è casuale. La confusione fa comodo a chi, già molto ricco e potente, ha un grosso interesse a instaurare e mantenere un contesto altamente competitivo (nel senso di lotta, di antagonismo). Ma gli fa talmente comodo che impiega DECENNI E MILIARDI per provocare ad arte, nell’immaginario collettivo, quella confusione. Perché se tutti accettiamo l’idea che sia giusto farsi strada a sgomitate, inizieremo  a farlo, inizieremo  a correre, ma non saremo mai in grado di raggiungere chi è partito molto prima di noi ed ha mezzi e stomaco a sufficienza per intralciare in qualsiasi modo la corsa di tutti gli altri.

“Tutto per noi, niente per gli atri”. Il motto delle élite.

Mettere le persone “competenti”  nel senso di capaci, responsabili, al posto giusto, è invece una forma di buon senso, di razionalità, di efficienza che tutti condividiamo.  Dobbiamo solo capire che non è con la competizione antagonistica e con la  meritocrazia (dando premi in denaro e potere) che possiamo riuscirci. Al contrario - quando avremo capito per bene cosa siano realmente, la competizione e la meritocrazia; come operano nella realtà oggettiva - solo allora riusciremo a capire che, materialmente, oggettivamente, producono il risultato opposto a quello che desideravamo, tutti insieme: 

competizione (nel senso di lotta, antagonismo) e meritocrazia (premiare con potere e soldi chi arriva primo) selezionano meccanicamente (quindi anche contro la nostra volontà) le persone disposte a fare gli interessi dei ricchi e dei potenti, ignorando tutti gli altri; e le mettono nei posti importanti (quelli dove si decide quali interessi curare e quali ignorare).

Domanda : è bene mettere le persone competenti nei posti di responsabilità?  Tutti rispondiamo si.

Domanda : è bene premiare con soldi e potere le persone messe nei posti di responsabilità? Qui, magari, ci dividiamo.

Ed è affascinante vederlo e rifletterci.  Io dico di no, per me non è assolutamente un bene premiare i posti di responsabilità con denaro e potere. E sono convinto che molti condividano questa scelta. Ma sono perfettamente consapevole che molti altri diranno di si, che va bene, che è giusto. Perfino molti fra quelli che hanno seguito tutti i precedenti ragionamenti e, dentro di se, poco prima, hanno annuito: soldi e potere non selezionano i migliori, ma i più cinici. Il mondo è bello perché vario; la consapevolezza arriva per strati successivi e altre volte per folgorazioni. Infinite sono le vie …   

Ancora più sorprendente e affascinante è andare a mettere il naso nel significato etimologico del termine che ci confonde, alla ricerca di una radice di verità.

Significato etimologico del termine (del segno) “competere”: cum – pétere, latino. Cum: insieme. Pétere: ricercare, tendere, provare a raggiungere. Il segno è sin troppo chiaro: qui stiamo parlando di collaborazione. Altro che antagonismo, lotta, sgomitate. Cercare insieme di raggiungere un obiettivo che ci accomuna, non ha e non può avere nulla a che fare con la lotta, l’antagonismo, le sgomitate. 


E non è forse evidente che il premio in denaro ed in potere, consegnato solo ad uno fra tanti, non è conciliabile con lo sforzo di tutti di raggiungere un obiettivo comune? Non è forse evidente che il significato che oggi viene comunemente attribuito alla competizione è completamente staccato dalle proprie radici? Non è forse evidente che da questa confusione solo i ricchi ed i potenti ne traggono un ingiusto vantaggio, mentre tutti gli altri ne ricevono un danno?

Non è il danno materiale che mi affligge di più. Infinitamente più doloroso è vedere come (accanto ai pochi ricchi e potenti in mala fede che investono miliardi per generare e mantenere la confusione) ci siano ancora tante persone in perfetta buona fede che - martellate dalla propaganda - credono che il premio in denaro e in potere sia “giusto”, “naturalmente giusto” “moralmente giusto”, e che sia necessario a selezionare i “migliori”. Questo libro è per loro. Questa illusione, le allontana dalla bellezza della collaborazione, della solidarietà. La stessa propaganda che difende gli interessi dei ricchi e dei potenti, squalifica irrimediabilmente come “buonismo” quei valori immortali, come collaborazione, solidarietà, sensibilità che sono fisicamente stampati in ogni particella di ogni atomo di ogni molecola di ogni cellula di ogni tessuto di ogni organo di ogni essere umano. E lassù, ancora, nel cielo azzurro, in ogni pianeta, in ogni sole, in ogni galassia, in ogni universo possibile.  

Ancora non lo vediamo.


  
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