link a Capitolo IV
Una delle idee più subdole che siano mai state infilate nel nostro immaginario
collettivo è quella della “crescita”. "Dobbiamo crescere, stiamo crescendo troppo poco, dobbiamo quindi
diventare più competitivi per tornare a crescere"; "senza crescita non ci può
essere lavoro"; "senza crescita non c’è
benessere, solo povertà e disperazione".
Chi di Noi non sarebbe disposto a fare
sacrifici per vedere più benessere, lavoro per i nostri figli, per vedere
sparire povertà e disperazione?
Il concetto di "crescita" è avvincente!
Eppure, sono nato sessantadue anni fa, ero piccolo e indifeso, e
sono cresciuto. Non pensavo dipendesse
dal PIL. E continuo a crescere, anche oggi. Magari non tanto in altezza
quanto in larghezza, va bene. In esperienza, in consapevolezza, nella
conoscenza delle persone, nell’amore per la Natura e tutto ciò che
rappresenta. Anzi, direi che più scende
il PIL e più cresce la mia consapevolezza! Questo perché in tempi di crisi viene voglia di studiare e, nel
bisogno di capire, mi sono incontrato con tanti
altri me stesso, anche loro alla ricerca di una migliore comprensione.
Starno pensiero: noi possiamo crescere anche se non cresce il PIL. Magari è valido anche al contrario: il PIL cresce e noi no!
Torniamo all'economia, per vedere, ma per benino, cosa cresce e cosa non cresce.
(Apro una piccolissima parentesi per rassicurarvi, prima che buttiate il libro
alle ortiche: state tranquilli, non vi propongo la “decrescita felice”, perché
la conosco solo per sentito dire. Magari è una teoria pregiudicata dalla scelta
assai “infelice” del segno, del nome o, forse, fortemente svalutata dai cospicui investimenti fatti
da denigratori vari che giocano sull’equivoco. Non lo so. Chiusa parentesi).
Chi sa cosa è il PIL ?
E' un numero, guardiamolo, intanto :
Si può calcolare anche misurando la produzione, o il reddito, ma il risultato è lo stesso (identico numero).
Attenzione: quando professori
e tecnici sfornati da prestigiose università (private) ci dicono : “Dobbiamo crescere, stiamo crescendo troppo
poco, dobbiamo quindi diventare più competitivi per tornare a crescere"; "senza
crescita non ci può essere lavoro"; "senza
crescita non c’è benessere ma povertà e disperazione”; sembra che si rivolgono a noi (Noi
dobbiamo crescere) ma, in realtà, intendono il PIL, non Noi : (è il PIL che deve crescere).
Noi siamo sicuramente contenti di “crescere”. Ma, mi domando: Siamo altrettanto
contenti se cresce il PIL e non, anche, Noi?
Riscriviamo la frase usando diversamente i segni,
ed alcune questioni ci appariranno, forse, diverse :
Deve crescere il PIL, il PIL sta
crescendo troppo poco, Noi dobbiamo quindi diventare più competitivi per
tornare a far crescere il PIL. Senza crescita del PIL non ci può essere lavoro
per Noi. Senza crescita del PIL non c’è benessere ma povertà e disperazione (per Noi).
E, visto che ora la stessa frase ci risulta un po’ diversa, ci viene anche
voglia di verificare se sia giusta, se sia vera.
Intanto, abbiamo capito che Noi ed il PIL sono due cose diverse. Vediamo se
sono almeno conciliabili ed armoniche (seguono lo stesso andamento) o sono
dissociabili: uno sale e l’altro scende, uno cresce e l’altro decresce. Per
esempio, il PIL sale mentre Noi diventiamo più poveri (economicamente
parlando). E’ mai possibile? Si, oh sì: chiedetelo ai quattro milioni 598 mila
poveri assoluti, ai dodici milioni ed oltre sulla soglia di quella povertà
assoluta. Agli altri milioni (non sappiamo quanti sono) che siccome hanno
qualche centesimo in più della soglia statistica, non sono considerati
poveri. Chiediamolo a loro se stanno
“crescendo”.
Prendiamo dei numeri, dal Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica :
VALORE DEL PIL TRIMESTRALE DAL 2000 AL 2016 |
Tutta l’area al di sotto della linea rossa e al di sopra di 385000 rappresenta la crescita del PIL negli ultimi quindici anni.
In pratica : in un trimestre dell’anno 2000 il Prodotto Interno Lordo (PIL) era
pari ad una media di 385 miliardi di euro. In Italia, allora, si producevano
1540 miliardi all’anno (385 x 4 trimestri).
Oggi, dopo aver visto quel PIL salire per otto anni fino al 2008 (1700
miliardi in un anno), poi scendere per altri otto anni, fino più o meno ad
oggi, siamo tornati al punto di partenza. Ma, attenzione: durante tutto il
periodo il dato di ogni trimestre è rimasto al di sopra dei 385 iniziali.
In tutti questi anni abbiamo prodotto più di quanto producevamo nel 2000,
abbiamo accumulato PIL, negli anni. Quando ci dicono che il PIL rallenta, non
vuol dire che diventa più piccolo, ma solo che cresce meno velocemente. Quando dico che il PIL nel 2009 è sceso (è
letteralmente diminuito), intendo dire che il PIL del 2009 è inferiore a quello
del 2008, perché il confronto lo faccio solo con l’anno precedente, ma
è sempre più alto di quello del 2000! Insomma, mediamente, dal 2000 al 2015 abbiamo prodotto in
Italia decisamente di più dei 1540 miliardi di euro all’anno che producevamo
nel 2000. Il PIL , in questo periodo, è
cresciuto.
Vediamo ora la povertà come evolve, sempre seguendo l’Istat in questa ricostruzione (è parziale, dal 1997 al 2013 ma non ho trovato
di meglio):
Negli anni misurati, gli individui in povertà assoluta più che raddoppiano: passano da 1
milione e 911 mila del 2005 (dati antecedenti non ci sono), ai 4 milioni e 420
mila del 2013 (dati successivi non ci sono).
Per gli individui in povertà relativa abbiamo dati precedenti: stazionano da 6
milioni e 436 mila del 1997 a 6 milioni e 420 mila del 2005; poi iniziano a salire
rapidamente fino ai 7 milioni e 822 mila
del 2013 (fine dei dati). Non so come conciliarli con quelli di fine 2015 già
citati nel secondo capitolo (cioè, non so se i 4 milioni e 598 mila del 2015 siano comparabili con i 4
milioni e 420 mila del 2013; ragionevolmente si ma, trattandosi di lavori
diversi, non so se usano classificazioni
e criteri omogenei). Altri lo faranno
meglio di me.
Io mi accontento di constatare che sì, si fa una gran fatica ad avere
informazioni dettagliate, complete e facilmente “leggibili” sulla povertà
(meglio non vederla, ricordiamo?). Ma, anche accontentandoci del poco a
disposizione, è inequivocabilmente chiaro il senso del discorso, e il
“segno” di come vadano le cose: nella direzione sbagliata! La povertà è cresciuta, e di tanto: più che raddoppiata: da 1
milione e 900 mila a 4 milioni e 600 mila!
Il PIL sale, la Povertà aumenta.
Documenti alla mano. E se i
documenti risultano confusi, interroghiamo la nostra coscienza (la nostra
sapienza interiore, la nostra consapevolezza): ci guardiamo intorno e
rispondiamo interiormente alla domanda: vedevo più povertà (materiale) intorno
a me nel 2000? Oppure oggi, dopo sedici anni di PIL più alto?
La famosa frase iniziale, pur corretta con segni
più chiari, risulta assai equivoca. Ci
trae in inganno. Magari, ci fa accettare sacrifici nella speranza di vedere
miglioramenti in ciò che ci sta a cuore (creare lavoro, ridurre la povertà) ma,
nella realtà, quello non succede, mentre succede altro.
… Senza crescita del PIL non c’è
benessere ma povertà e disperazione (per
Noi).
In realtà : con la crescita del PIL (in questi anni) c’è stata ancora più
povertà e disperazione (per Noi).
Potremmo pensare che sono anni particolari; potremmo pensare che il PIL è
cresciuto troppo poco; Oh sì, molti
scienziati ci diranno esattamente questo: troppo poco PIL, dovete fare ancora
più sacrifici (fateci caso, nella frase un segno è cambiato: non c’è più il
Noi, ma è apparso il Voi. Eh già, i professori non fanno sacrifici, ma - quando
arrivano a diffondere il verbo nelle televisioni e sui giornali - accumulano
ricchezze, potere, successo. Vi sembra
una denigrazione gratuita? Allora
controllate - ma fatelo di persona - la pensione di Amato, il padre della prima
Riforma Strutturale sulle pensioni; quella della Fornero, se già la percepisce,
o il suo reddito; il patrimonio di Monti … etc., etc. Fate voi, documentatevi
come ritenete opportuno. Toccare con
mano, di persona, rimane più impresso.
Sicuramente, per onestà intellettuale, va anche detta una cosa: la crescita
economica (la crescita del PIL), storicamente parlando, analizzando cioè
periodi molto lunghi, può essere statisticamente associata alla “crescita ed
alla diffusione del benessere”. Montagne
di documenti e studi al riguardo.
Ora, a prescindere dal fatto che dovremmo metterci meglio d’accordo su cosa
intendiamo per “benessere” e cosa intendiamo per “diffusione del benessere” (spero che il capitolo precedente abbia prodotto riflessioni a riguardo), a
Noi tutti dovrebbe interessare enormemente, in ogni caso, capire come e perché :
1) ci sono periodi anche prolungati
durante i quali il PIL cresce ma la Povertà aumenta
2) quando il PIL non cresce, i sacrifici vengono sistematicamente scaricati solo sulle fasce più deboli.
Per comprendere questi aspetti, dobbiamo
necessariamente chiederci un po’ meglio
cosa sia, in buona sostanza, questo
benedetto PIL che, istintivamente (perché così ci hanno
detto), associamo alla “ricchezza
nazionale”.
PIL = Prodotto Interno Lordo
Definizione di prodotto Interno Lordo … uff! Percorso ad ostacoli, complicato,
molto tecnico, noiosissimo. Parliamo della ricchezza prodotta in un anno nel
paese, ma vi avevo già avvisato che sul concetto di “ricchezza” ci si può
dividere e soprattutto, confondere.
Comunque, ci vengono proposte dalla scienza ben tre possibilità per rappresentare e misurare questo unico concetto.
Tre possibilità che portano a numeri identici (il PIL è un numero, nient’altro che un numero, registrato
nella Contabilità Nazionale) :
1) il valore ai prezzi di mercato che la
produzione di un anno aggiunge a tutti i prodotti e servizi disponibili allo
scambio. Volgarmente parlando:
prendo una manciata di terra che vale poco, la trasformo in un pregevole
oggetto di terracotta, misuro il valore della terra all’inizio e vedo a quanto
posso vendere l’oggetto alla fine; quella differenza, quel “valore aggiunto”,
va a fare il PIL e ci dice, numericamente, quanta ricchezza ho prodotto.
2) oppure la somma della spesa in consumi fatta in un anno
dalle famiglie, più gli investimenti delle aziende, più la spesa pubblica, più
il saldo del commercio estero. Che volgarmente vuol dire : tutti i soldi
“spesi” (il fatturato).
3) oppure: la somma dei redditi delle famiglie e dei profitti delle imprese. Più
o meno, tutti i soldi “guadagnati”.
Non ho mai capito bene alla fine cosa si sta misurando, esattamente. Se la
produzione o gli scambi. Se il valore dell’oggetto che ho prodotto, anche se me
lo tengo in casa e non lo vendo a nessuno (per una azienda, la roba che rimane
nei magazzini, magari per sempre, perché nessuno ha soldi per comprarla, o
perché non piace a nessuno, è ricchezza o è spreco? boh). Oppure solo ciò che viene
scambiato, insomma il fatturato, indipendentemente dal momento in cui viene
prodotto. Punti di vista. Più ci metto il naso, e più mi appare chiaro un
concetto. In maniera più intuitiva che analitica, ma rafforzato da segni sempre
più concentrici e univoci: il PIL, gira che ti rigira, misura essenzialmente
il fatturato ed i profitti delle aziende (che, in Italia,
stanno diventando straniere …). E lo chiamiamo Ricchezza Nazionale !
Se volete una risposta esauriente, scientifica, potete trovarla sul sito
dell’Istat, incaricato di fare i calcoli per tutti noi. Oppure sul sito
dell’ente di statistica europeo, Eurostat.
Qui ed ora, però, non è importante essere precisi e
scientifici per riuscire comunque a capire immediatamente, e abbastanza scientificamente, una cosa importante:
ci sono tanti punti di vista, tante
componenti, tante forze in gioco, tanti soggetti diversi, e tutti concorrono
(corrono insieme) per far crescere l’obiettivo unico, il numero : il PIL.
Quello che, invece, diventa evidente solo riflettendoci accuratamente su, è che tutti corrono, ma il beneficio (la
ricchezza fatta di soldi) si può distribuire in qualsiasi modo possibile, senza
che il risultato cambi. Ricordate, alla scuola media ?
Pil = RF (redditi famiglie) + PI (profitti imprese)
Se PIL = 1000, qualsiasi combinazione di
RF + PI che faccia 1000 è buona
RF = 600 ; PI = 400 : RF + PI = 1000
ma, anche : RF = 300; PI = 700: RF + PI = sempre 1000
ma, anche : RF = 100; PI = 900: RF + PI = sempre e comunque 1000
Compito a casa (molto importante):
cercare le componenti del PIL scegliendo la definizione che più vi aggrada;
assegnare casualmente diversi valori ad ogni componente in maniera tale che il
risultato sia sempre = a 1500 miliardi (il nostro PIL attuale); collegare i
simboli delle componenti ai volti ed ai nomi delle persone che si
arricchiscono, mentre altre diventano più povere.
Poi, con calma, e senza perdere la pazienza, verificate quanto di quel PIL è prodotto da aziende che, essendo di proprietà straniera, se lo portano via quando gli pare !
Questo è indiscutibile :
Il PIL cresce. Qualcuno si
arricchisce. Qualcuno diventa più povero. Qualcuno si toglie la vita.
La statistica inganna, sempre. Produce illusioni: "sale la ricchezza nazionale", ci dice il TG, e automaticamente ci aspettiamo la nostra parte, subito o fra un po'. Bada bene: non perché siamo sciocchi, ma perchè così ci hanno promesso. Purtroppo, non funziona così: qualcuno si arricchisce (troppo) e qualcuno si toglie la vita, Questa è la realtà.
Pensieri sparsi sulla ricchezza nazionale.
Produrre una pistola, fa crescere il PIL. Comprare proiettili fa crescere il
PIL. Sparare ad una persona No, ma
portarla in ambulanza all’ospedale o al cimitero si; produrre una cassa da
morto e fargli il funerale fa crescere il PIL. Produrre concimi e pesticidi e
diserbanti uccide la vita nel suolo, ma fa crescere il PIL. Mangiare un frutto
selvatico No, non fa crescere il PIL. Prendere una mela, trasformarla in succo,
aggiungerci coloranti, dolcificanti, conservanti, antiossidanti, aromi naturali
e/o chimici, fa crescere il PIL. Produrre quegli additivi fa crescere il PIL.
Ottenere certificazioni sulla salubrità degli additivi fa crescere il PIL.
Curare il diabete ed il cancro che quei componenti chimici potrebbero scatenare
- forse, pare, si dice, mentre la scienza ufficiale e privata non si pronuncia
o nega (ufficialmente e a pagamento, facendo crescere il PIL) -, fa crescere il
PIL. Produrre medicine per curare diabete e cancro fa crescere il PIL. Comprare
cibo al supermercato fa crescere il PIL, anche se il 30% di quel cibo lo
buttiamo. Sissignori, anche se il 30% lo compriamo e lo buttiamo, la nostra
“buona azione” viene riconosciuta e registrata nella contabilità nazionale per
intero: anche quel 30% fa salire il PIL. Portare nelle discariche il cibo
scartato - mentre ci sono 800 milioni di persone che patiscono la fame - fa
crescere il PIL. Il percolato delle discariche penetra nelle falde acquifere, e
intossica l’acqua. Filtrarla e disinfettarla con il cloro fa crescere il PIL.
Anche indirettamente, il suo sacrificio per la patria viene premiato: ci
spinge a comprare acqua minerale. E questo sì che fa salire il PIL. E’ privata,
quell’acqua, è presa a volte dalle stesse falde acquifere, è sottoposta alle
stesse procedure di controllo dell’acqua del sindaco. Anzi, diciamo che forse
potrebbe ottenere valutazioni compiacenti, perché le certificazioni vengono
fornite da un ente privato a un soggetto privato e pagate, facendo crescere il
PIL; paga chi le richiede ed ha un interesse privato ad ottenerle
favorevoli; viene pagato chi le rilascia
ed ha un interesse privato a rilasciarle, sapendo che è in concorrenza con
tanti altri certificatori, tutti privati.
Mentre noi diamo per scontato che corrotto è solo il pubblico. In questo
caso, al massimo, il pubblico, potrebbe essere corrotto (o venire corrotto, sai tante volte, i punti di vista come cambiano le
cose) quando certifica ( “accredita”, a pagamento e facendo crescere il PIL) che
i privati certificatori sono bravi guaglioni.
L’acqua privata la paghiamo 20 centesimi al litro; più di cento volte di più di
quanto paghiamo l’acqua pubblica : 1-2 euro a metro cubo (1000 litri), cioè 1 o
due millesimi di euro al litro. Non è migliore, l'acqua privata. E' più a rischio, la compriamo a
prezzi esagerati e la beviamo sentendoci più sicuri (perché la pubblicità è
potente, infinitamente potente) facendo crescere il PIL. La pubblicità fa
crescere il PIL. Uh quanto lo fa crescere, il PIL la pubblicità. I circa 100
miliardi all’anno che persone disperate ed ingenue spendono nel gioco ufficiale
d’azzardo sperando di trovare una soluzione ai propri problemi economici, fa
crescere di molto il PIL. Parliamo di slotmachine,
gratta e vinci, lotterie. Tutte pubblicizzate
dal Governo - che ci mette sopra le tasse, quando le riscuote - attraverso le
televisioni nazionali con una forma di ipocrisia che grida vendetta. Anche
quella pubblicità fa crescere il PIL. Curare le decine di migliaia di malati
di ludopatia, fa crescere il PIL. La
produzione di slot machine fa
crescere il PIL, l’organizzazione del gioco che investe la distribuzione nei
bar fa crescere il PIL. I gestori, privati, quelli che hanno ricevuto la
concessione dal governo e organizzano il tutto, secondo qualcuno in odore di
illegalità, fanno crescere il PIL guadagnando più dello Stato che gli ha
consesso le licenze. L’export fa
crescere il PIL. Mbè? Questo va bene.
Come no : qualcuno si spacca la schiena per estrarre un bel pezzo di marmo da
una cava di Carrara. Un camion lo va a prendere e lo trasporta fino da
Michelangelo. Quello tira fuori il meglio di sé e ti scolpisce “la Pietà”. Poi,
trova un compratore cinese e gliela vende. Il cinese effettua un bel bonifico
e, in cambio della Pietà, Michelangelo e l’Italia si ritrovano con dei numeri
su un computer: il saldo del conto di Michelangelo su una banca. Numeri su un
computer, in Italia, che la contabilità nazionale registra orgogliosamente
nella crescita del PIL. Il cinese, in cambio di quei numeri, si è portato la
Pietà fuori dall’Italia a Pechino. La vuoi vedere? Alza il culo, e parti. La
guerra, poi, la storia ci insegna, il PIL lo fa esplodere. Prima, durante e
dopo. Mentre prepara bombe, aerei e
carri armati sale il PIL; mentre uccide persone e distrugge case e chiese sale
il PIL, ma sale tanto che lo confondi con l’inflazione; quando si
ricostruiscono case e chiese, e le persone morte le puoi solo seppellire, e non
ti va di ricordarle, il PIL sale che è una bellezza.
Tutto questo, in cambio di una smart
TV, Un Suv ruggente, un tablet, una
vacanza all’estero. E, fra poco, se non stiamo attenti, in cambio di una “macchina automatizzata e connessa” che, per circolare, avrà bisogno di uno stato di polizia (vedi libro bianco della commissione europea sul futuro programmato per noi).
Hanno il potere, queste cosette, miracoloso, affascinante, sconvolgente, di farci chiudere tutti
e due gli occhi, di tacitare il nostro cuore, di farci dimenticare lo spirito
divino che è in tutti noi.
Passeggiata? Eh no. Non ce la meritiamo. Adesso ci leggiamo la lettera di Michele. La riporto integralmente. A
spasso, ci andiamo dopo, per rispetto.
La lettera di Michele :
"Complimenti al
ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi."
di Michele
Ho vissuto (male) per
trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di
stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non
oggettivi.
Ho cercato di essere
una brava persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti tentativi, ho
cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del
malessere un’arte.
Ma le domande non
finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono
stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di
colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e
desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di
invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la
mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle
aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare
buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso
in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una
grande qualità.
Tutte balle. Se la
sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non
lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una
dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative,
sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa
inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia.
Da questa realtà non
si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può
pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si
può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente
stabile.
A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra
un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma
ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non
voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di
affrontarlo.
Non è assolutamente
questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a
continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di
garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.
Non ci sono le
condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono
rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io
non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo
per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta
di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per
avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il
massimo, ma il massimo non è a mia disposizione.
Di no come risposta
non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo,
quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento
tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi
come sarebbe suo dovere fare.
Lo stato generale
delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che
sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste
l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere,
allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo
conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è
tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è
davvero bisogno.
Sono entrato in questo
mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi
piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie.
Non mi faccio
ricattare dal fatto che è l’unico possibile, il modello unico non funziona.
Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista,
da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a
qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo
lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli
altri.
Io lo so che questa
cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la
voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza
si, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice
facendo il tuo destino.
Perdonatemi, mamma e
papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene.
Dentro di me non c’era
caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il
furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie
per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto
alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.
P.S. Complimenti al
ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.
Ho resistito finché ho
potuto.
Non conosco Michele né la su storia. Potrebbe essere il figlio
di ognuno di noi.
Michele è figlio di ognuno di Noi.
Il senso di questa lettera, le sue parole, i suoi segni, uno per uno, vanno
raccolti. Custoditi. Elaborati.
Rappresentano la Sua eredità; è preziosa.
Con questa frase ci dobbiamo fare i conti, davvero, perché è
solo la nostra “rassegnazione”; solo la nostra“abitudine” ad una “normalità
intollerabile”, che ha potuto rendere :
“giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a
tutti che siamo liberi” .
Non può essere, non deve essere, non è :
“giusto”.
Ringrazio infinitamente e ammiro i genitori che hanno avuto il coraggio e la forza di renderla pubblica! non so se ci sarei riuscito.
Della crescita del PIL scelgo
tranquillamente di fare a meno nel momento stesso in cui scopro che, per
averla, devo rubare il futuro ai miei figli. E non ho dubbi sul fatto che la
stragrande maggioranza delle persone, poste in maniera trasparente di fronte a
questo bivio, scelgono esattamente la stessa strada.
Arrivati a questo punto, scegliamo di parlare di Solidarietà e di Distribuzione, piuttosto che di crescita del PIL.
Non abbiamo il diritto, né giuridico, né morale, di mantenere i nostri
privilegi, piccoli o grandi che siano; non abbiamo il diritto di accaparrarci
il presente, se non siamo disposti a
condividere il nostro “benessere”, sia
con gli ultimi di oggi, sia con chi verrà, domani, dopo di noi. Questa è una
verità assai scomoda, eppure è scolpita oggi nella Costituzione che ignoriamo,
è scolpita da sempre e tramandata negli insegnamenti morali di qualsiasi epoca
e luogo.
Come è stato possibile che la
nostra intera ”civiltà” li ignori con tanta leggerezza, con tanta colpevole
indifferenza? Che cosa è “civile”?
Come è possibile sentirsi “migliori”, qui dentro?
Cominciamo col parlare meno di PIL e più di Distribuzione.
Guarda: perfino
una crescita così “stupida” del PIL è comunque compatibile con modalità assai ben più
solidali, inclusive, che distribuiscono
in maniera equa il valore prodotto; in maniera sostenibile; in maniera
basata su altri e più nobili criteri di giustizia sociale, piuttosto che questa
folle corsa ad una competizione che seleziona i più aridi di cuore e li premia
con potere e denaro, schiacciando gli ultimi.
Possiamo continuare così come ora, e "lasciar fare ai mercati", oppure ricordarci che è nostro dovere scegliere, e
farlo con Responsabilità.
E se dovessimo accorgerci che le scelte
che colpevolmente abbiamo pensato di delegare a professori e tecnici, erano di
fatto lasciate alle forze di mercato, sottratte alla responsabilità della
politica?
Se dovessimo scoprire che la Politica è diversa, assai diversa e importante, da
quella che ci beviamo nei talk show.
Se dovessimo scoprire che è decisamente più importante di quella che ci
“narrano” gli stupidissimi talk show
che ci annoiano parlando insistentemente dei politici
(persone che affermano di occuparsi di politica) ma non dei temi della Politica (i problemi di tutti noi);
che ci raccontano degli scandali, in maniera esasperata, invereconda, e mai dei
problemi della comunità; ci spaventano con terrorismo e criminalità; e mai
indicano una seria soluzione Politica ai problemi della società, che
poi siamo noi. Una, una sola che
risulti, contemporaneamente, seria, fattibile, approfondita, comprensibile,
condivisibile. Si parla del sesso degli angeli, e ce la chiamano politica. Se
poi uno si stufa e decide di non occuparsi di politica come fai a dargli torto?
Allora io dico che la nostra indignazione dovrebbe esplodere. Per come ci
hanno ingannato, per come ci siamo lasciati ingannare.
La Politica è, e non può essere altro,
che Responsabilità della Scelta. Non esiste possibilità di buona Politica,
senza quella Responsabilità.
Attenzione, attenzione : non esiste Economia senza Politica. Perché senza
politica, i mercati “allocano”, “efficientemente”, attraverso la mano che è
invisibile, la ricchezza prodotta da tutti nelle tasche dei pochi furbi che ci
chiedono, cortesemente, di “lasciarli fare”. Possibilmente indisturbati.
Una
Politica che ci racconta che non è possibile distribuire, che non è possibile
essere solidali, che non è possibile condividere, che non è possibile fare
della sensibilità oggetto di studio, è solo ingannatrice e vigliacca. Contraria
alla nostra umanità, e va rifiutata.
Ma non è tutto. Perché se scopriamo, subito dopo, che una crescita vera del nostro stare bene,
del nostro reale “benessere” del nostro vivere bene, profonda, prolungata,
sostenibile, equilibrata, condivisa, è totalmente indipendente da quella
stupida crescita del PIL. Se scopriamo che i beni “materiali”
di cui abbiamo realmente bisogno sono infinitamente minori di quelli che produciamo così affannosamente
e in maniera così inefficiente, mentre ciò di cui abbiamo veramente bisogno è
di rapporti amorevoli con il nostro prossimo, di armonia, di pace, di amore, di
accoglienza. Di sensibilità. E tutto ciò è escluso dalla "produzione". Valori enormi, bisogni profondi, che questa folle rincorsa a
produrre per buttare ha chiuso ermeticamente fuori della porta.
Non ci verrebbe forse voglia di riaprire quel portone, e capire meglio cosa c’è
dentro?
Chi ci fa credere che la Politica debba avere a che fare solo col denaro, mente sapendo di
mentire. Nella Polis, nella Res Publica, ci siamo Noi, con la nostra
infinita e fragile umanità.
Il denaro può essere solo l’ultimo dei nostri servi.
Anche in questo caso, La Politica è, e
non può essere altro, che Responsabilità della Scelta.
Magari, occupandoci un po’ meglio della Polis, mentre ci sforziamo di
riaprire quel portone, potremmo scoprire che il Paradiso Terrestre è dietro
l’angolo. Fuori dalla nostra “civitas”. Ma ci arriviamo.
Memento :
Come è fatto il PIL (cosa c’è dentro);
Come è Distribuito il PIL; sono cose immensamente, enormemente,
indiscutibilmente più importanti di quanto
Cresce il PIL.
Se il PIL non cresce, ma è fatto di cose
buone ed è distribuito con solidarietà, siamo tutti felici!
Se il PIL cresce, ma è fatto di porcherie ed arricchisce solo i ricchi, siamo
tutti infelici, o no? Ricchi compresi, credetemi. I ricchi e i potenti sono infelici.
(leggere dieci volte, e ripetere a voce
alta).
Link a Capitolo VI
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